martedì 20 novembre 2012

...tanto per dare un idea delle distanze...

Lucho :)

Pablo :)

le motorette sulla strada...

tanto per dare un idea del "ripio"

lago Viedma, Ande e Fitz Roy sullo sfondo

tramonto on the road


La giornata si presume impegnativa quindi la sveglia è, compatibilmente con la situazione, piuttosto presto. Con un paio di dollari supplementari arriva anche una specie di colazione, si carica la moto, Pablo ricompone e fissa con un’interminabile serie di elastici il suo condominio di bagagli, accomoda le terga sul tappetino di pelo di pecora che riveste la sella e via per la prima tappa che sarebbe il distributore dove ci siamo incontrati la sera prima. Un paio di centinaia di metri e siamo già fermi, Pablo deve rabboccare, nel piazzale, che ovviamente è tutt’uno con il resto del paesaggio , spicca la presenza di una terza motoretta, in breve appare anche il suo guidatore, ci si presenta, …Luciano di Rosario, Argentina,  dove vai? … a El Calafate, guarda un po’…anche noi, quindi si va insieme? …ovvio! Si parte e stavolta sul serio, un po’ di asfalto, un po’ di sterrato, un altro po’ di asfalto e un altro po’ di sterrato e si arriva a Gobernador Gregores, che, escludendo le altre mille soste per bere, svuotare, mettersi la felpa più grossa, togliersi la felpa più grossa, sgranchirsi le gambe, fare una foto, fare un video, fare un'altra foto, ecc.ecc.ecc…. sarebbe la  prima tappa. Per la verità ci sarebbe stata una deviazione che avrebbe leggermente accorciato di qualche decina di km il percorso per raggiungere Tres Lagos ma c’è sempre l’incognita benzina, Pablo nonostante la tanica che si porta dietro non ci sarebbe arrivato, io ci sarei arrivato ma quasi a secco con il rischio di non poter continuare se avessi trovato il distributore esaurito, Lucho ( che ovviamente si legge Lucio ) teoricamente avrebbe voluto tagliare e arrivare direttamente a Tres Lagos ma, vuoi che forse si trovava bene in compagnia, vuoi che a tutti è sfuggito il bivio, il gruppo alla fine rimane unito. Al distributore troviamo un altro brasiliano di Minas Gerais che sta risalendo da solo, ci aspettano 170 km filati di sterrato che definisce “ muy  feo”, letteralmente starebbe per molto cattivo, ora uno sterrato diventa molto cattivo quando è molto insidioso, infatti dei due occasionali compagni di strada del brasiliano uno si  è piantato ed è atterrato di faccia sulla ghiaia sbriciolando la visiera del casco e forse anche un po’ del rivestimento del viso, paura e disagi conseguenti sono stati superati ma stanno procedendo piano e il tipo li ha scaricati. Si fa il pieno a serbatoi e taniche e allo stomaco con qualche improbabile cibo fornito dalla striminzita cucina del distributore poi si parte per il gran balzo. Dopo poche decine di km incrociamo i due che procedono con evidente cautela quasi a passo d’uomo e senza l’aria di divertirsi troppo…Di fianco corre la strada nuova e quando si incrocia con la vecchia aumentano i fastidi. Come già notato ieri il fondo del vecchio tracciato è costellato di buche e sassi ma almeno è duro e battuto da anni di passaggi  e si riesce a viaggiare quasi comodamente intorno ai 70/80 kmh ma quando per questioni varie di orografia i lavori devono spostarsi proprio sulla vecchia strada i caterpillar hanno spianato a parte un nuovo tracciato provvisorio dove viene incanalato il traffico (quelle venti o trenta macchine al giorno nelle date di bollino rosso…) e dove ovviamente il fondo, a volte di ghiaia, a volte di sabbia, diventa morbido, la moto tende ad affondare e quindi scatta l’insidia…Il nastro di asfalto nuovo di zecca o di terra tirata come un biliardo che ci scorre spesso a fianco continua a ingolosirci e senza pensarci un attimo di più cediamo alla tentazione, passare dal vecchio al nuovo percorso e viceversa diventa quasi un gioco. Per entrare o uscire si devono individuare i punti dove i mucchi di terra o di sabbia che vengono appositamente lasciati per chiudere i varchi sono maggiormente vulnerabili, ma alle moto bastano poche decine di centimetri per il passaggio e nonostante il carico anche una montagnetta di mezzo metro non è un problema pur di riuscire a fare magari qualche km senza doversi concentrare su ogni metro che la ruota anteriore deve affrontare. Secondo una consecutio dei lavori che evidentemente non è esclusivamente nostrana prima si stende l’asfalto poi ci si ricorda che mancano le gallerie di scolo che vanno da una parte all’altra della strada ed ecco che trasversalmente si taglia l’asfalto, si apre una trincea di un paio di metri di profondità, si passano le tubazioni e poi si ricopre tutto. Le spaccature si susseguono quasi con regolarità ogni due o tre km il che vuol dire che si deve innanzitutto cercare di non cadere nelle trincee perché ci si farebbe malissimo e quindi per evitare le trincee quando va bene si aggirano seguendo i percorsi dei camion del cantiere ma quando  va male si fa dietro front  fino a dove si può rientrare sulla strada vecchia, superare l’ostacolo e cercare di rientrare al primo varco possibile. Di tanto in tanto incrociamo qualche operaio che invece di coprirci di insulti per aver ignorato i divieti ci saluta calorosamente e anzi ci ferma per darci consigli su dove e come possiamo meglio sfruttare l’alternativa. Finiscono i 170 km e arriviamo a Tres Lagos, finiscono i cantieri e gli sterrati e ricomincia l’asfalto ma anche il giorno sta finendo, lentamente come si conviene a queste latitudini ma sta finendo. Il sole lascia ancora qualche barlume di luce ma il suo calore è decisamente un ricordo, anzi, dopo una mezzora arriviamo sulle sponde del lago Viedma, sulla sponda opposta, ad una settantina di km di distanza, incombono le cime della Cordigliera, vette di cinquebarraseimila metri fra le quali spicca il profilo del leggendario Fitz Roy e da dove soffia un vento gelido che ci arriva addosso neanche fossimo vicino all’Antartide, che per inciso non è più distante di un paio di migliaia di km in linea d’aria da dove ci troviamo! Perdiamo Lucho che si è fermato per buttarsi addosso un paio di maglie in più,  ci mette una ventina di minuti poi ci raggiunge, durante le ultime decine di km passiamo dal tramonto al buio totale fino a quando finalmente arriviamo a El Calafate. Non credo che la temperatura superi i dieci gradi. Ci aspetta un ostello, una memorabile carne alla griglia nel migliore ristorante della città, più che altro nell’ultimo ristorante ancora aperto…e una bottiglia di vino rosso argentino, per chiudere la giornata non trovo miglior commento delle parole di Pablo al primo brindisi: “ Hoy fuè un dia!” Non credo ci sia bisogno di traduzione..    

martedì 6 novembre 2012



la camera dello Sheraton

il garage dello Sheraton

antichi fasti

la pampa

il mitico ostello

e il mitico Pablo


Un giorno di sosta a Bariloche poi si riparte , lascio l’alberghetto vicino al lago che fa da fondovalle alla cittadina ma per fare benzina sono costretto a ripassare per il centro, ci sarebbe la strada nuova per l’aeroporto  che la taglia fuori ma non ci sono distributori e pare che i rifornimenti da qui in avanti non saranno così scontati. I centri abitati sono piuttosto rarefatti, tipo che fra un villaggio e l’altro ci passano anche dai cento ai duecento km e non è nemmeno detto che in ogni villaggio ci sia una pompa e visto che è tempo di vacanza e in tempo di vacanza la gente si muove parecchio può capitare benissimo che la pompa sia pure a secco il che vuol dire aspettare il camion dei rifornimenti anche fino al giorno dopo. Regola uno dunque da ora in poi fare il pieno ogni volta che se ne presenta l’occasione. Passo dunque per il centro , faccio il pieno e finalmente riparto, in un modo o nell’altro attraverso la città, seguendo le  indicazioni piuttosto controverse di un paio di passanti mi ritrovo in periferia, le ultime case si diradano e lasciano posto agli abeti, anche l’asfalto si dirada e lascia il posto al primo sterrato, così…tanto per cominciare a divertirsi, di indicazioni stradali non se ne parla, blocco un camioncino che arriva da una laterale e chiedo conferma per il sud, non serve altro parchè se riesco ad uscire da Bariloche poi c’è una strada sola quindi non c’è problema. Lo sterrato dura meno di una decina di km fino a quando rientro sulla strada principale, per un centinaio di km si viaggia alle pendici delle montagne, passo da una valle all’altra accompagnato da foreste di abeti, laghi e prati verdi, qualche campeggio e piccoli villaggi turistici giustificano quel po’ di traffico che si incontra di tanto in tanto e quel po’ di biciclette che si incrociano. La strada scende dalle montagne quindi niente più laghi, abeti e verde intenso ma di nuovo terra arida, erba secca e giallastra e soprattutto la noia mortale del paesaggio della pampa. Arrivo a Gobernador Costa, mi chiedo cosa abbia fatto di speciale il Sig. Gobernador Costa per farsi intestare un villaggio tanto insignificante e mi rispondo che probabilmente ci è solo nato e cresce  immediata l’ammirazione per essere riuscito a diventar governatore nascendo in un posto del genere. Siamo in mezzo al solito nulla e va da se’ che la strada principale è dritta come un fusetto, per meno di un km parallelamente allo stradone ci sono altre due vie che probabilmente vedranno l’asfalto non prima di un paio di secoli e sono collegate alla principale da un paio di bretelline in altrettanto stato polveroso. Un primo alberghetto è esaurito ma ci sono alternative, la prima mi spara un bel 35 dollari che, sempre secondo le mie personalissime stime, è una truffa, attraverso la strada e un’insegna promette camere e alloggi, sotto l’insegna una grande vetrina lascia intravedere, attraverso vari strati di polvere, un bar ma la porta è sbarrata, il bar comunica con un piccolo bazar ma anche quello è decisamente chiuso. Non mi arrendo, giro l’angolo e provo il retro, bussa qua…bussa là, lancia una voce e un colpo di tosse finalmente emerge una signora, la stanza c’è, una tettoia nel cortile per la moto anche, il bagno è in comune con le altre stanze ma pare non ci siano altri ospiti e comunque non è un problema, la stanza certo non ricorda quella  di uno Sheraton, anzi per la verità non ricorda nemmeno quella di un qualsiasi albergo degno di tale nome ma costa circa 11 dollari quindi va benissimo, forse c’è anche il wi fi, bisogna connettersi con quello del vicino di casa e non sempre funziona ma di solito si…, basta aver fiducia! Per cena non ci sono grandi alternative, un vecchio baretto anni sessanta con una maestosa griglia che occupa una parete intera, un lungo bancone in legno e acciaio e otto tavolini in laminato e sottili zampette cromate con quasi tutte le sedie in abbinamento riempiono la sala, le afte non danno tregua e mangiare è una tortura ma la carne è una meraviglia quindi cerco di non pensarci. Quando sto per finire salta la luce in tutto il villaggio e rimaniamo al buio, il sole è tramontato da un pezzo e l’oscurità è quasi completa ma nessuno ci fa caso, un “oooh “ quasi impercettibile poi le conversazioni ai tavoli riprendono come nulla fosse successo, il tempo passa e la situazione non cambia, le ragazze servono ai tavoli facendosi luce con i telefonini,  dopo parecchi minuti il vecchio alla griglia si rassegna e sacrifica una, dico una!!!, candela che accende e appoggia sul bancone per tutti, finisco la mia cena e sempre alla luce del display di un cellulare pago il conto e raggiungo la mia sontuosa locanda dove non rimane molto altro da fare se non buttarsi in branda e aspettare, possibilmente dormendo, il giorno dopo. L’esperimento riesce , prima di rimettermi in strada faccio colazione al distributore e riparto, la giornata è serena, il cielo è di un azzurro intenso con qualche batuffolo bianco appeso qua e là, i primi duecento km sono di asfalto fino a quando lascia il posto al il mitico “ ripio” ovvero quello che tecnicamente da noi si chiama “macadam” oppure volgarmente ”sterrato”, in due parole sassi e polvere! Anzi…facciamo tre parole, sassi, polvere e buche! La strada è larga, due corsie comode in realtà sono quattro canali di terra ben battuta che le ruote delle macchine ripuliscono dai sassi che invece si accumulano  ai lati, le ruote della moto corrono abbastanza sicure dentro il canale largo una trentina di cm. ma di tanto in tanto il canale si sporca di pietrisco o buche o altro e bisogna uscire affrontando il morbido strato di ghiaia di riporto alto anche cinque dieci cm , normalmente il fondo è abbastanza liscio ma quando la strada è in pendenza le ruote delle macchine saltellano e creano delle scanalature trasversali abbastanza profonde da costringerti ad alzarti in piedi sulle pedane per aumentare il peso sulla ruota anteriore e rendere la moto più guidabile. La guida non è particolarmente difficile ma è molto impegnativa sul piano della tensione che è forte e non ti permette di rilassarti per più di qualche centinaio di metri. Di tanto in tanto alla strada vecchia si affianca quella nuova oppure la nuova prende il posto della vecchia ma quando la nuova, cioè praticamente quasi sempre, non è ancora ufficialmente aperta, il traffico, si fa per dire visto che incontro  qualcuno mediamente ogni 30 km…., passa su una pista nuova che i caterpillar hanno spianato a fianco. A seconda delle condizioni sulla strada vecchia si riesce a viaggiare fra i quaranta e i settantacinque kmh ma il fondo della pista nuova non è stato testato dalle migliaio di carri e macchine che lo hanno calpestato per decenni  battendolo e indurendolo e quindi è sabbioso e morbido, la moto comincia a scodinzolare e il manubrio vibra fra le mani, la tensione sale e non si deve cedere alla tentazione di rallentare troppo cercando al contrario di far galleggiare la moto sopra il terreno morbido. Spesso la strada nuova si presenta come un invitante nastro di terra battuta tirato come un biliardo e a volte è ricoperto da un ancora più invitante fondo di asfalto ancora vergine. Ia prima razione di ripio dura circa 45 km poi, sarà l’invitante…, sarà il concetto di vergine ma non resisto oltre e quindi superando gagliardamente i cumuli di terra che chiudono gli accessi mi butto sulla strada nuova, a volte va bene e riesco a percorrere tranquillo una decina di km ma altre volte mi ritrovo alla fine del cantiere affacciato su qualche trincea profonda un paio di metri e nessuna maniera di rientrare sul vecchio percorso, tocca fare inversione, si ripercorre un po’ di strada a ritroso fino a quando, in un modo o nell’altro, si trova il sistema di ritornare sulla strada vecchia e fino a quando un altro invitante nastro di asfalto più o meno vergine ti attira di nuovo. Dopo 390 km di questa storia verso le cinque del pomeriggio  arrivo a Bajo Caracoles, dalla strada principale parte un nastro di polvere che entra in mezzo ad una decina di baracche di legno ordinatamente sparse in mezzo ad altrettanta polvere. Una baracca esibisce un’insegna di ostello ma la porta di ingresso esibisce anche un bel cartello con scritto chiuso. Ad un’altra baracca è collegata una pompa di benzina, mentre faccio il pieno chiedo al ragazzotto com’è la situazione per la notte considerato che l’ostello è chiuso. Il fatto che l’ostello sia chiuso suona molto strano al ragazzotto ma mi dice che anche loro  del distributore affittano camere, non sa bene il prezzo ma dovrebbe essere intorno ai 40barra60 dollari, signorilmente riduco i commenti al minimo e lo prego di informarsi meglio con i titolari, la versione definitiva è addirittura settanta dollari quindi piuttosto che sborsare quel capitale mi monto la tenda nel fosso della strada, in quello arriva Pablo da Brasilia che viaggia su una piccola Honda rossa carica come un mulo di zaini, bisacce e taniche. Fra uomini di strada ci intendiamo al volo e partiamo all’attacco della porta chiusa dell’ostello, dopo qualche insistenza la porta si apre e concordiamo una doppia a venti dollari a testa, questo si che è parlare! Venti minuti nemmeno sapevamo che esistevamo reciprocamente e adesso dividiamo la stessa stanza, lo stesso bagno, la stessa doccia, …ma ovviamente non lo stesso letto…! Così è la strada! L’ostello offre anche pizza e bistecca impanata con purè di ( polvere di) patate. Sarò anche prevenuto ma quattro baracche sommerse dalla polvere in mezzo alla Patagonia non mi sembrano la location più adatta per una pizza, nemmeno per una bistecca alla milanese probabilmente ma Argentina vuol dire carne e quindi la scelta è d’obbligo e per sapere com’era quella bistecca andate a farvi un giro verso la fine del mondo, da me non lo saprete mai…J     

                    

giovedì 4 ottobre 2012

arrivando a bariloche

patagonia

...e non è detto che cisia sempre il sole...

e di nuovo patagonia!


Da Mendoza a S. Carlos de Bariloche ci sono circa 1300 km, con una tappa intermedia dovrei farcela in un paio di giorni, piccola sosta e poi vediamo…, i ragazzi della  corte del saldatore di marmitte sconsigliano per il momento la Ruta 40, con una leggera deviazione posso rimandare l’appuntamento con la polvere. Per un paio di centinaia di km si passa da un’azienda agricola all’altra, grandi case coloniche in stile, cantine ultramoderne, cisterne in acciaio inossidabile, foresterie che sembrano  design hotel, ogni tanto il villaggio di riferimento e in mezzo filari interminabili di vigne, da un km all’altro finisce tutto e comincia la pampa, avrà sicuramente il suo fascino ma da subito si presenta come una dei paesaggi più noiosi che abbia mai visto, qualche arbusto, qualche cespuglio, poca erba giallastra su un terreno quasi sabbioso e grigio, le Ande sono una lontana linea morbidamente frastagliata che separa il grigio dall’ azzurro del cielo. A parte alcune leggere ondulazioni del terreno che non superano un paio di decine di metri tutto il resto è definitivamente piatto! Tardo pomeriggio, mancano un centinaio di km per 25 de Mayo, da un bel po’ viaggio nel bel mezzo del niente, una moto ferma sul ciglio della strada con una faccia decisamente sconsolata appoggiata sopra mi risvegliano dal torpore della noia, ci metto qualche istante a realizzare poi freno, faccio inversione e la faccia ha un nome e parla, è Juan di Neuquen che sta andando a Nord ad un incontro di motociclisti ma ha forato l’anteriore. È fermo da almeno un ora e delle quattro macchine che sono passate nessuna ha accennato a fermarsi, ha un cellulare ma siamo a circa cento km dal primo centro abitato e non c’è copertura. Gli offro la mia bomboletta ripara-gomme che dovrebbe funzionare anche con le camere d’aria ma non la vuole, probabilmente la camera d’aria è troppo malandata e non funzionerebbe. Mi lascia il numero di Marcelo, appena trovo un telefono lo devo chiamare, dargli la posizione  di Juan e mandarlo là con camera d’aria, leve smontagomme e pompa, gli offro un po’ di biscotti ma non li vuole, accetta invece la bottiglia di acqua che ho con me. Facciamo insieme un due conti e a spanne che arrivi ad un telefono, chiami Marcelo, che Marcelo si organizzi e arrivi da Juan ci vorranno almeno tre ore ma Juan è sereno e comunque ha tenda e sacco a pelo quindi anche se, come si dice, è praticamente in mezzo ad una strada, un tetto…o qualcosa del genere… c’è! In un ora arrivo circa a Cruce del Deserto, di nome e di fatto, due rette  che si incrociano, niente a destra, niente a sinistra, niente su, niente giù, a lato della strada solo un albergo con ristorante ma il tutto è decisamente sproporzionato visti i paraggi, anche il prezzo è sproporzionato, 75 dollari sono esattamente una rapina e non manco di farlo presente, la titolare mi propone un arrotondamento ma ugualmente non ci siamo ancora e comunque c’è da salvare Juan. Spiego la situazione all’ometto della reception che telefona a Marcelo. Marcelo non risponde. Richiama e Marcelo risponde, si fa per dire perché l’ometto gli spiega come sta la questione ma dalla faccia non sembra troppo convinto di quello che sta facendo. Mette giù e mi conferma l’impressione ma non riesco a capire cosa stia succedendo. Chiedo di parlarci, prego di richiamare e di nuovo Marcelo risponde, la voce sembra totalmente dissociata da chi sta parlando, le risposte arrivano sempre qualche istante in ritardo rispetto a quando dovrebbero segno che nonostante la facilità apparente della risposta necessitano sempre di un momento di riflessione;  sei Marcelo?... Si… Sei l’amico di Juan che è partito stamattina in moto?... Si… Hai presente chi è Juan?... … Si… Hai capito dove ti sta aspettando?...Si…Hai capito che ha bisogno che tu vada a recuperarlo con camera d’aria, leve smontagomme e pompa?...Si. Mi arrendo, o meglio spero che Marcelo, che probabilmente ha appena testato tutto il nuovo campionario di stupefacenti che gli hanno recapitato abbia uno sprazzo di lucidità e si renda almeno conto in quale galassia si trovi e vada a recuperare Juan. Rendo la cornetta all’ometto della concierge, lo sguardo di intesa che ci scambiamo è eloquente, combatto con un leggero senso di colpa, forse non dovrei fidarmi ma è quasi buio, sono praticamente in mezzo al deserto e più che tornare da Juan con una birra tiepida e una bistecca fredda non potrei fare e se Marcelo torna in sé lo salva lui, se non torna in sé Juan è giovane e sufficientemente in carne da non morire di fame anche se salta una cena, domattina fermerà qualcun altro e alla peggio arriverà al raduno un giorno in ritardo. Mi metto l’animo in pace. Torniamo alla trattativa. Nonostante l’arrotondamento il prezzo della camera rimane improponibile, a una decina di km c’è il villaggio e forse si combina qualcos’altro. Per arrivarci si deve uscire dallo stradone principale, al bivio ci sono due specie di motel ma sono esauriti, la faccenda si complica, entrando nel villaggio trovo l’ultimo motel, la camera c’è e costa 45  dollari che per essere in un posto di merda in mezzo al nulla è ancora una follia ma stavolta non possiamo più fare gli schizzinosi e accetto. Per la cena entro nel villaggio che offre una specie di panineria e un baretto che serve pizza e pollo arrosto. Con le infiammazioni che continuano a massacrarmi la bocca la pizza sarebbe l’ennesima tortura per cui vado di pollo arrosto, dopo quasi un’ora e almeno tre birrette per aiutare a dimenticare il contesto arriva una mattonella di carne troppo bianca e troppo stopposa che sembra di masticare gesso da presa ma le tre birrette hanno fatto il loro dovere e una quarta completa l’opera. Considerato tutto il contesto comincio a capire anche Marcelo. La colazione è in linea con lo squallore di tutto il resto, una tazza di thè, una fetta di qualcosa che potrebbe ricordare del pane e una mattonellina di marmellata insipida, per un bicchiere di liquido color aranciata si deve pagare una differenza…la truffa dei 45 dollari comincia a irritarmi sempre di più, una  misera camera, niente parcheggio e la moto rimane parcheggiata in mezzo alla strada, uno straccio di connessione internet non è nemmeno prevista, sulla colazione mi sono espresso,  quando chiedo di poter fare una telefonata a Bariloche mi sento rispondere che devo andare fino in paese al posto telefonico pubblico…intuisco che il giovanotto che ho di fronte è il figlio dei proprietari, bene! Quindi non è un dipendente contro il quale non sarebbe giusto sfogarsi e quindi gli spiego dettagliatamente quello che penso sul suo albergo e sul fatto che per un senso di equità e giustizia se tanto chiedi almeno qualcosa devi offrire, il mio spagnolo esce talmente fluente che il personaggio afferra  il concetto al volo, tenta di controbattere ma non c’è fisicamente lo spazio, con lo stesso stile mi accomiato, salgo in moto e me ne vado lasciandolo visibilmente offeso, perfetto! J I primi 500 km sono di una noia mortale, il nulla mi circonda e il caldo non aiuta. A 150 km cominciano a cambiare un po’ le cose, la strada si arrampica su una cresta di colline che nascondono un grande bacino artificiale, un po’ di saliscendi intorno al lago poi si continua a salire, un altro lago, questa volta naturale e annuncia S. Carlos de Bariloche, probabilmente la più importante stazione invernale del Sudamerica, ma siamo in gennaio e quindi in piena estate australe e la temperatura torrida e l’aria polverosa stridono parecchio con le facciate simil-tirolesi degli alberghi delle vie centrali. L’atmosfera sta cambiando, già con Mendoza si è iniziato a respirare un aria vagamente europea,  lineamenti  indigeni e carnagioni color caffellatte sono ormai un ricordo, ogni viso tradisce un avo italiano, un nonno spagnolo o una zia teutonica. Mi fermo per due notti, quest’aria quasi di casa non mi mancava affatto, la meta non è più lontanissima e l’idea che l’avventura stia per terminare comincia ad affacciarsi.

giovedì 27 settembre 2012

rettilineo è rettilineo!

:)... per chi sa...


Alle otto e mezza sono già di fronte alla concessionaria di Mendoza, la cosa che ovviamente mi preme di più e la faccenda delle luci e dopo tanti km anche una registratina alle valvole non ci starebbe male, l’ultima volta è stato non ricordo quanti km fa in Costa Rica, teoricamente per la  registratina potrei anche arrangiarmi da solo così come per il cambio dell’olio ma la faccenda luci mi trova più impreparato e per quella un meccanico qualsiasi potrebbe andare ma voglio fidarmi del livello qualitativo ( vero o presunto…) della scuola BMW per cui scelgo di delegare tutto all’officina. Il responsabile dell’accettazione arriva verso le nove, gli spiego la situazione e a metà mattinata la motoretta va sotto i ferri, il cambio dell’olio viaggia spedito, il meccanico è giovane e simpatico ma con scarsa dimestichezza dei modelli datati come il mio per cui non si fida di azzardare la registratina alle valvole e rinuncia, alla faccia della scuola BMW…, dopo una mezzora di battibecco soft e grazie all’ intercessione del giovane meccanico ma contro la regola della casa madre che il boss dell’officina cerca di impormi riesco a intrufolarmi e insieme al meccanico affrontiamo di petto la questione delle luci. Passiamo un’oretta a strapazzare i cavi dell’impianto elettrico per cercare di capire cosadove  e come sia successo che l’impianto elettrico stia vivendo questo glorioso momento di anarchica ribellione ma alla fine nonsisacome tocco il filo giusto, le lampadine si accendono come nemmeno in via Montenapoleone  sotto Natale e con il meccanico ci guardiamo e ci illuminiamo. Siamo nei pressi del fanale, lo apriamo e un bastardissimo filo nero di massa ( la spiegazione del concetto di massa ve lo risparmio…) naviga nel vuoto andando a cozzare ovunque ubriacando l’impianto elettrico, ristabiliamo il contatto e come per magia tutto risponde ai giusti comandi, il problema è risolto, la meta è un po’ più vicina, per la verità è esattamente dove si trovava ieri sera ma la rinnovata fiducia nel mezzo meccanico e soprattutto il fatto di non dover più fare le ormai solite sceneggiate con ogni pattuglia di poliziotti che incontro mi fanno sembrare gli ultimi km più corti. Già…, saranno anche più corti ma sempre circa tremila sono e tremila non sarebbero poi un disastro se non contiamo i 28.000 che ho messo alle spalle. Se non fossi ad uno sputo ( lunghetto…) dalla fine probabilmente non ci farei caso, ma il peso di quello che c’è dietro comincia a farsi sentire, manca un pezzo di Argentina, poi tutta la Patagonia, poi la Terra del Fuoco. Penso ad un paio di tappe veloci per rallentare verso la fine. Fino ad ora non ho mai pensato alla meta, ma dopo una ventina di confini sono nell’ultima nazione, per  arrivare ad Ushuaia dovrò rientrare in Cile e poi di nuovo in Argentina, ma non ci saranno più nuove terre né dogane sconosciute, solo qualche migliaio di km di cui una valanga da percorrere sullo sterrato. Domani cominciamo ad affrontare la leggendaria “ Ruta 40” che con la “Ruta 3” infilano l’Argentina da Nord a Sud, la “tres” segue l’oceano Atlantico ed ormai è completamente pavimentata, la “quarenta” corre a ridosso delle Ande e le mancano parecchie centinaia di km che la “Presidenta”  Kirchner, patagone di nascita, sta lentamente completando.  Per pochi anni ancora la si può percorrere assaggiando la stessa polvere dei pionieri dell’ottocento, poi non sarà più la stessa cosa. Al mattino lascio dunque Mendoza, incrocio un paio di villaggi, dopo un centinaio di km ne arriva un altro, si viaggia tranquilli su uno stradone in mezzo alle campagne, un paio di semafori mi fanno rallentare, scalando le marce sento che il pedale non risponde come dovrebbe, l’innesto è ritardato e incerto, arrivando allo stop non ritrovo più la folle, un sudore freddo e tagliente come un coltello da sushi parte inesorabile dall’ultima vertebra  e risale in un lampo fino al cervello circumnavigando lo stomaco, il verdetto è semplice : si è rotto il cambio! Un vortice di proporzioni bibliche rimescola sensazioni, pensieri, maledizioni e litanie varie fino a quando freno e fermo la moto, butto l’occhio in direzione dello stivale sinistro e vedo la leva del cambio che penzola sotto il motore appesa all’asta del rinvio, dalla notte più nera che si può immaginare passo al sole dei caraibi in un giorno di sole, forse il danno non è grave, lavorando sul rinvio riesco ad infilarci una prima marcia, riparto e mi butto su una laterale, scendo e controllo bene, è saltata la saldatura che fissa la lamiera della leva alla boccola del supporto che fa da perno ( spero mi siate grati se anche qui non insisto sulla descrizione), entro nel negozio di elettrodomestici di fronte e chiedo di qualcuno che fa saldature nei paraggi, già che ci sono compro un adattatore di corrente visto che gli argentini hanno deciso di dotarsi di prese a lame oblique che dubito esistano altrove, comunque a cinquanta metri c’è uno che ripara marmitte. Sempre in prima  supero un cancello piuttosto malandato, attraverso un cortile che ricorda molto una discarica, arrivo sotto una tettoia tenuta in piedi da qualche secolo di ruggine e trovo un simpaticone che ha vissuto una decina di anni a New York e non vedeva l’ora di sfoggiare il suo inglese davanti agli amici, smonto la leva, molto pomposamente la guarda e la passa con le spiegazioni del caso al subordinato che altrettanto pomposamente dà due punti di saldatura, me la ritorna, i due punti sembrano un grappolo di carbone ma non fa niente, rimonto il pezzo, chiedo quanto devo e rimedio una solenne pacca sulla spalla di buon viaggio, rispondo regalando una foto delle Torri Gemelle che ho con me, solenne stretta di mano, tutto a posto, metto in moto e riparto, anche stavolta è andata…!

       

domenica 22 luglio 2012

Valpo...

ancora Valpo

la casa di Pablo

...e l'oceano di Pablo

incontri alla frontiera sotto la pioggia.

Dunque riepiloghiamo, dopo le sistemazioni fatte prima di partire da La Serena il problema delle luci dovrebbe essere stato risolto sfrattando la famigliola di ragni dal devioluci, i tubi benzina sono stati cambiati quindi probabilmente non prenderemo fuoco lungo la strada, rimane l’olio motore da sostituire e le afte in bocca che non danno tregua ma splende il sole, anche troppo stavolta…, e Valparaíso si avvicina. L’illusione del devioluci dura il tempo di uscire dalla città, le luci continuano ad operare in regime di assoluta anarchia e la famigliola di ragni che mi scarrozzavo appresso da chissà dove avrebbe potuto continuare la sua transumanza a sbafo. Il paesaggio comincia piano piano a variare, dalle pietraie spuntano i primi cactus, poi ai cactus si aggiungono alcuni arbusti, poi sotto ai cactus e agli arbusti spunta una timida erbetta secca e giallastra. A cento km da Valpo esco dalla Panamericana e arrivo sulla costa, avvicinandomi cominciano a farsi vedere anche i pini e insieme ai pini le spiagge, gli alberghi, le case al mare dei vacanzieri e il traffico conseguente, tutte cose di cui peraltro non sentivo affatto la mancanza. Con l’apertura del canale di Panama nel 1914 il porto di Valparaíso,  tappa obbligata per ogni nave che si accingeva ad affrontare oppure si era appena lasciata alle spalle le leggendarie tempeste di Capo Horn , cominciò a perdere importanza ma rimane tutt’oggi la capitale culturale del Cile, evitando accuratamente i grandi e caotici viali del centro salgo sulle alture dietro al porto e raggiungo i vecchi quartieri residenziali, l’atmosfera è accattivante, stretti vicoli pedonali dritti come una fucilata salgono ripidi dal porto e si incrociano con tortuose stradine di ciottoli che seguendo le linee delle colline creano un effetto a gradoni sui quali poggia una tipica architettura primonovecentesca di palazzine e ville signorili, piccoli bar letterari, minuscoli alberghi di design, ricercate caffetterie ma anche locali più o meno probabili arredati saccheggiando a piene mani dalle botteghe dei rigattieri saturano l’aria con un effetto molto “ bohemienne”. Sgangherati backpackers si confrontano con turisti da 100 dollari a notte in un calderone dai colori senza dubbio intercontinentali. Trovo un ostello decente e decido che vale la pena fermarsi un paio di giorni per riposare e riordinare le idee. Sepulveda scrive che varcando il confine del Cile lo spirito di Pablo Neruda ti viene incontro e ti accoglie benevolente sulla sua terra, decido di onorare la sua accoglienza con una visita. A circa ottanta chilometri a sud di Valpo c’è Isla Negra che non è un isola ma bensì la residenza preferita del grande poeta, con fantozziana precisione riesco a centrare il giorno di chiusura settimanale, quindi niente visita al suo museo personale di strumenti da navigazione, alla sua collezione privata di barche in bottiglia, alla sua raccolta di piccole sculture in legno, niente due passi nel suo giardino sopra la spiaggia, niente la sua barchetta appoggiata sul prato, per un paio di ore gironzolo intorno alla staccionata rubando qualche occhiata e qualche foto qua e là, passeggio per la spiaggia e mi arrampico sui bassi scogli dove si infrangono le onde del pacifico, ovviamente le stesse onde che guardava anche il vecchio Pablo, e non è poco…! Nonostante la sosta di un giorno e la conseguente pausa i problemi alla bocca continuano ed anzi le ulcere si moltiplicano, la pomata non sembra avere alcun effetto mentre invece lavarsi i denti e soprattutto mangiare qualsiasi cosa diventa una tortura. Anche la faccenda delle luci sta diventando seccante, viaggio ormai da qualche giorno solo con le luci di posizione e questo non è per niente bello, a Mendoza, in Argentina, oltre le Ande a circa 400 km c’è una concessionaria che potrebbe essere una buona opzione per sistemare definitivamente la faccenda. Risalgo verso nord, passo Santiago e ricomincia l’ennesima arrampicata sulle Ande. Con ampi tornanti la strada sale per decine di km su un enorme ghiaione incrociando funivie e stazioni sciistiche, sull’altopiano finisce il territorio cileno ma per arrivare ad incontrare i funzionari dei due paesi ci vogliono ancora una ventina di km, gli uffici fanno capolino in fondo ad un enorme piazzalone totalmente invaso dalle macchine che un paio di poliziotti stanno cercando di smistare, accenno un tradizionale “salto della coda” ma gli uomini in divisa mi beccano subito, faccio presente che tradizionalmente le moto hanno diritto a passare avanti ( ovviamente non sta scritto da nessuna parte ma di solito ci credono tutti…) ma mi rispondono che qui siamo in Argentina e che la cosa non funziona affatto così, il pomeriggio è avanzato e a spanne rischio di perdere anche tre o quattro ore per passare la dogana, poi si deve scendere dalla Cordigliera e arrivare a Mendoza, altri 180 km e il rischio di arrivare al buio è alto, torno alla carica con il poliziotto e gli faccio presente che per una moto può essere particolarmente rischioso viaggiare di notte in mezzo alle montagne ecc. ecc. ma di rimando mi ringhia che in Argentina si viaggia obbligatoriamente con le luci accese quindi se ho problemi alle luci semplicemente non mi fa entrare in Argentina e così il problema è risolto, ovviamente bleffo alla grande che le mie luci sono a postissimo  e dicevo solo per dire per cui a questo punto me la metto via e rientro in coda con le regolamentari e ormai leggendarie pive nel sacco. Siamo a circa tremila metri sotto il massiccio dell’Aconcagua ma naturalmente siamo anche sotto le nuvole quindi dell’Aconcagua non si vede niente e in compenso comincia a piovigginare così le pive oltre ad essere nel sacco sono anche bagnate. Per entrare in Argentina, che fra l’altro comincia a starmi già un po’ sulle balle, ci metto quasi tre ore e si saranno fatte le cinque del pomeriggio, fra il confine e Mendoza c’è un villaggetto poco prima della pianura, intasco i soliti permessi e parto, lungo la strada incontro qualche pattuglia di poliziotti che mi fa cenno di accendere le luci, sempre a cenni rispondo di aver capito, poi saluto, sorrido e faccio tutto quello che serve per far capire che le sto accendendo anzi ecco che allungo la mano verso l’interruttore e faccio finta di accenderle ma intanto li ho già alle spalle, loro sono contenti e quindi il problema e risolto, io continuo senza luci ma loro non lo sanno…J Entro nel villaggetto, quattro case in croce sulle rive di un grande lago artificiale ma di alberghi nemmeno l’ombra, forse laggiù affittano camere ma la casa sembra disabitata da mesi, niente da fare, bisogna arrivare fino a Mendoza, entro in città al buio ma a quel punto non mi preoccupo più, recupero un albergo e soffrendo come sotto i ferri del dentista mi concedo la prima grigliata argentina. Domani intanto ci prenderemo cura della motoretta.

mercoledì 11 luglio 2012

...passato anche di quà...

Mi risveglio dunque in quel di Taltal, amena cittadella balneare cilena, con nell’ordine: le gomme da cambiare, l’impianto elettrico che comanda le luci che funziona quando ne ha voglia, cioè quasi mai…e la pomata cilena che contro le afte della mia bocca ha avuto lo stesso effetto di un bicchiere d’acqua…quindi non si può dire proprio che va tutto bene ma non ci si perde d’animo, la strada per la Terra del Fuoco è ancora lunga ma non lunghissima e soprattutto non impossibile, quindi si va’! Faccio il pieno al distributore in compagnia di un gruppo di austriaci e svizzeri che stanno passando le ferie correndo avanti e indietro per gli sterrati del Cile con guida e motorette da fuoristrada noleggiate in loco, i soliti convenevoli, qualche occhiata di invidia e qualche sguardo di superiorità come se farsi un paio di continenti da soli con la moto per sei mesi fosse cosa sconveniente…mentre invece farsi qualche centinaio di km mangiando la polvere di chi ti precede te lo ha ordinato il medico…però si sa che gli svizzeri sono un po’ strani! Comunque ognuno si fa il suo pieno poi loro a nord e io a sud, come al solito, e come al solito in mezzo al deserto, alla sabbia, alle pietraie, cambia il terreno, cambiano i colori e ogni tanto la linea dell’orizzonte ma deserto è deserto, rettilinei infiniti in mezzo al nulla e in fondo ai rettilinei una curva di solito anche quella in mezzo al nulla, la cosa più importante da tenere a mente è svegliarsi prima della curva in tempo utile per rallentare se necessario e affrontarla, poi ci si può riassopire. La faccenda va avanti per 650 km, ovvero otto ore circa, verso le cinque entro a La Serena, che non è solo una mia amica, che fra l’altro ha il brutto vizio proprio di mettere l’articolo davanti ai nomi propri…, ma nella situazione contingente trattasi di una cittadina di 150.000 abitanti dove trovo il mitico Tonino Motos che è grande come un supermercato e sembra un ministero, il salone trabocca di  moto, scooter, quad, accessori, ricambi, abbigliamento, manca solo il reparto motoslitte, ma probabilmente in mezzo al deserto non ne vale la pena. Passo da un sottosegretario all’altro finché non trovo quello addetto alle gomme, si va in magazzino, si ribalta tutto e saltano fuori le scarpette nuove per la motoretta, il prezzo è sopportabile e si procede con il montaggio. L’ora successiva sarà una delle più difficili del viaggio, la macchina smontagomme è costituita da due robuste braccia e due leve di acciaio che cominciano a scavare come il trapano di un dentista fra il copertone e il cerchione di alluminio anodizzato nero lucido non pulitissimo forse ma è il “mio” cerchio anodizzato e io so quanto mi è costato. La prima reazione è quella di saltare al collo della macchina smontagomme ma riesco a trattenermi e con tutta la pacatezza e lo stile che ho a disposizione dopo otto ore di guida faccio presente che forse…e sottolineo forse…infilando uno strato di gomma o di cartone robusto fra la leva e il “mio” cerchione anodizzato nero lucido si eviterebbe di far assomigliare il ”mio” cerchione ecc. ecc. alla superficie del ghiaccio dopo una partita di hockey Russia- Canada. La macchina smontagomme riflette un momento sulla mia proposta e fortunatamente concorda, i cerchioni sembrano salvi. Si smontano le gomme vecchie, si montano le gomme nuove, la prassi richiederebbe a questo punto di equilibrarle, ma il ministero Tonino Motos non è dotato di equilibratrice e pare che nessuno in Cile ne sia dotato, si potrebbe fare a mano, ma il titolare in persona mi guarda come se gli avessi chiesto di accompagnarlo allo zoo a rinfrescare le strisce delle zebre, mai fatto prima, e figurarsi se cominciano oggi…non rimane altro che adeguarsi! Prima di iniziare l’operazione gomme chiedo se nel frattempo posso approfittare per farmi un paio di lavoretti di manutenzione, la risposta è negativa, dovrei pagare ugualmente per il lavoro ma in virtù dell’ormai acquisita confidenza con la macchina smontagomme, alla chetichella quando il capofficina volta lo sguardo mi cambio le candele, compro una confezione di olio e lo sostituisco nel cambio e nella coppia conica, smonto il filtro dell’aria che dalla sabbia che contiene ricorda molto la spiaggia di Copacabana e a questo punto mancherebbe solo cambiare anche l’olio del motore e registrare le valvole ma non voglio approfittare troppo…chiacchera che ti chiacchera salta fuori che uno dei meccanici affitta anche delle camere, siamo in orario di chiusura quindi mi accodo alla sua macchina, l’ostello che gestisce con la sorella non è certo il Pierre di Manhattan, del resto non ci avevo dormito nemmeno quando ero a Manhattan, ma per una notte va bene e soprattutto per quattordici dollari va meglio ancora… La questione gomme è risolta felicemente, se non sbaglio i calcoli ma soprattutto se non sbaglio troppo strada con queste dovrei poter arrivare fino alla meta anche se non so bene ancora dove andrò a finire, rimane la questione delle luci che continuano a funzionare in regime di assoluta anarchia e rimane ben presente la questione delle afte che mi massacrano la bocca, comunque da tre problemi siamo scesi a due, come si suole dire… è già un passo avanti! Quando la mattina dopo sono pronto per partire scopro che un poco geniale famigliola di argentini capitati sul tardi ha parcheggiato dietro la moto e se ne sono andati bellibelli a fare un giro per il centro bloccandomi l’uscita dal portone. La cosa non mi rende felicissimo ma ne approfitto per smontare il devioluci e controllare i contatti, all’interno del guscio degli interruttori scopro un nido di piccoli ragni, non sembra ma potrebbe essere una bella notizia, potrebbe essere infatti proprio la causa del problema, ripulisco il tutto per bene e rimonto. I problemi risolti a questo punto potrebbero essere due, ma mi accorgo che anche i tubi del carburante sono alla fine del loro viaggio infatti grondano benzina come fossero di cartone, i problemi sono di nuovo due, ma sistemeremo anche questa. Con tutta la calma del loro essere in vacanza rientrano gli argentini, si scusano ma non troppo e mi tolgono dalle palle il loro fottuto catorcio, uscendo trovo un negozio di ricambi per auto che mi vende il tubo, al primo distributore smonto, taglio, ricompongo il sistema che esce dai rubinetti del serbatoio, monto i filtrini nuovi, il compensatore, che non sapete che cos’è ma non importa, e arrivo ai carburatori, faccio il pieno e finalmente rimonto in sella, accendo poi spengo e rismonto dalla sella perché mi accorgo che si è staccato un contatto che porta corrente allo strumento del contagiri. Tolgo il serbatoio, sistemo il contatto, rimonto il serbatoio, rimonto in sella e parto. Si potrebbe pensare che a questo punto sia già quasi buio di nuovo ma invece è solo la fine della mattinata, Valparaíso mi aspetta a meno di 500 km, con le candele nuove e il filtro dell’aria che non assomiglia più al cortile di un cementificio la motoretta viaggia che è un piacere, e quindi…via verso Sud.    


domenica 1 luglio 2012

ancora dakar

verso atacama...

intorno ad atacama...

Dal momento in cui abbiamo cominciato a rilassarci dopo aver recuperato un tetto per la notte Byron e Roelof hanno cambiato almeno tre o quattro programmi per il giorno successivo, sveglia nella notte per ripartire verso nord ed andare a vedere l’arrivo della tappa successiva, sveglia un po’ più tardi per andare a vedere la partenza e forse anche l’arrivo, sveglia a caso per una giornata senza programmi molto definiti ma sempre con l’idea di seguire la gara. Alla fine facciamo colazione insieme verso le otto e mezza, l’ultima decisione è di partire prima di quanto previsto nell’ultimo programma ma ieri sera si erano accordati con una cameriera dell’hotel per un lavaggio di biancheria che ovviamente non è ancora completato, mentre cercano di spiegare alla fanciulla incredula che la roba se la portano via bagnata in un sacco e non serve asciugarla e stirarla io mi carico la moto, saluto e parto. Esco dalla città scortato dai camion dell’organizzazione, la strada segue un paio di tornanti per risalire sull’altopiano che la spalleggia poi parte dritta come un fuso in mezzo al deserto per arrivare ad incrociare la solita Panamericana che va verso sud… oppure nord a seconda di quello che serve… Pochi km fuori dalla città c’è fermento, i piloti sono già partiti e stanno per incrociare la strada principale prima di perdersi nel deserto verso nord, mi fermo  e aspetto il passaggio sorridendo ma anche un po’ dispiaciuto per Byron e Roelof che sono in albergo a lottare con la cameriera per le loro mutande bagnate mentre comodocomodo aspetto che la gara mi passi davanti al naso. La targa italiana della moto intanto fa un’altra vittima, si avvicina Annalisa di Livorno che adesso non è più di Livorno ma è di Vina del Mar che è vicino a Valparaíso detto Valpo che è vicino a Santiago che è a metà del Cile e ne è la capitale e Annalisa è di Vina del Mar perché ci ha sposato un ufficiale della Marina cilena e ci ha fatto un paio di figli. Si chiacchiera del più e del meno meno che del passato militare del Cile che ovviamente, essendo suo marito appunto un militare, è argomento tabù, anzi diciamo che è un intervallo di tempo che non viene contemplato dalla storia, una forma di revisionismo un po’ personalizzata … Comunque fra una chiacchiera e l’altra passa qualche pilota, i figli di Annalisa cominciano ad annoiarsi e io anche per cui ci ripromettiamo di rivederci a Valparaíso e ci salutiamo, loro non so dove vanno invece io vado verso S. Pedro de Atacama, raggiungo la Panamericana, che per me va verso sud, e accompagnato ormai solo dai pick up rossi delle compagnie minerarie mi ributto fra le sabbie e le pietraie del deserto cileno. S. Pedro è quasi sotto le Ande, dopo qualche cento km lascio la Panamericana e punto verso est , il panorama non cambia, deserto e ancora deserto, ogni tanto qualche curva per superare qualche increspatura del terreno spezza la monotonia di rettilinei che arrivano fino a cento km di lunghezza. Di tanto in tanto un cartello con un numero o con il nome di una concessione segnala una diramazione, dal nastro di asfalto parte una strada sterrata che si perde chissà dove  verso le montagne,  poco prima di S. Pedro entro e percorro un vallone segnato da due creste di rocce rosse che emergono dal terreno e sembrano  le schiene di due enormi aragoste cucinate e seminsabbiate. Il villaggio da alcuni anni è molto gettonato dagli amanti del trekking e delle escursioni  e questo non fa bene né ai prezzi né alla sua primitiva atmosfera diciamo così…rurale…! La via centrale è lastricata ma tutto intorno le strade sono di sabbia e stridono con l’immagine ricercata e a volte quasi raffinata dei ristoranti e delle agenzie turistiche. Fatico a trovare da dormire, alla fine combino in una specie di ostello dove mi estorcono 30 dollari per una camera con un bagno a fianco che avrebbe dovuto essere solo di pertinenza sua e invece era di pertinenza di tutto il mondo ma ormai è quasi sera e non ci sono alternative, ci si tappa il naso, si va a cena e poi a dormire. Sembra ridicolo ma l’attrazione principale dei dintorni è un deserto, in effetti non ci sarebbe solo quello ma evidentemente la natura ha gratificato questo strano lembo di terra con svariate attrazioni naturali tipo geyser, vulcani, laghi e laghetti che sono meta di ogni tipo di escursioni, il famoso deserto di Atacama è ad una cinquantina di km verso sud ma la strada poi si perde nel nulla e si deve ritornare indietro. Naturalmente nei trenta dollari della camera non è compresa la colazione, per  un caffè con un paio di fette di pane mal tostate e un succo di arancia in una caffetteria sulla strada se ne vanno altri dieci dollari ma soprattutto non aiutano a far partire bene la giornata, sarà una cosa , sarà un’altra, saranno tutte insieme ma lo stato d’animo non è alle stelle, dopo alcuni km comincio a chiedermi se veramente vale la pena di sciropparsi altri cento km di deserto per andare a vedere un altro deserto dopo che sto viaggiando in mezzo al deserto  da non so quanti giorni, la risposta arriva presto, rallento giro la moto e ritorno indietro, attraverso il villaggio, saluto tutti, si fa per dire…, e riprendo il mio cammino verso quella Panamericana che va verso sud. Dopo cinque mesi di viaggio e circa ventisettemila km la motoretta comincia a dare qualche timido segnale di stanchezza, le luci anabbaglianti ogni tanto mi mollano e anche gli abbaglianti per non essere da meno si adeguano ma soprattutto sono agli sgoccioli con le gomme, l’anteriore è ormai alla fine e anche alla posteriore manca poco, la città degna di tale nome più a portata di mano è Antofagasta, la raggiungo verso ora di pranzo, all’apertura devo girare avanti e indietro per quasi due ore e lo spacciatore di pneumatici che mi hanno consigliato e che dovrebbe avere tutto ha solo un anteriore di un modello non pervenuto, mi farebbe anche un buon prezzo ma controllo la data di produzione stampigliata sul fianco è di dieci anni fa il che vuol dire che potrebbe andare bene giusto come parabordo per una zattera ma di montarla su un cerchio e correrci sopra non è il caso, declino l’offertona e mi rimetto in sella, la prossima opzione sarebbe La Serena, altri ottocento km se non mi esplode il copertone prima, comunque sono le quattro del pomeriggio e quindi per oggi non se ne parla, come tappa intermedia scelgo Taltal, sulla carta è un puntino sulla costa del Pacifico a circa 150 km da dove mi trovo ma in realtà non ho idea di cosa mi aspetti, esco da Antofagasta, prendo una strada secondaria che porta verso la costa e nella solitudine più assoluta raggiungo il mare, nelle tre ore che impiego per arrivare incrocio ben due macchine e un pullman, per il resto solo il vapore del mare che arriva con il vento del pomeriggio. Taltal è carina, una piccola località balneare che sembra essersi fermata agli anni trenta,  e meriterebbe forse un giorno di sosta ma domani è venerdì e se non cambio la gomma domani devo aspettare fino a lunedì e non credo che il luogo offra svaghi degni di una sosta così lunga. Forse per simpatia forse per altri motivi ma ai segni di usura della moto cominciano ad aggiungersi anche altri segni di usura più personalizzati. Già da ieri convivo poco felicemente con un paio di ulcere che si sono presentate in bocca, normalmente non sono particolarmente fastidiose ma mangiare una mollica di pane diventa come masticare una lametta da barba, comunque mi spiego facilmente con la farmacista di turno e inizia l’esperimento con la pomata cilena, domani continua la caccia ai pneumatici.    

lunedì 4 giugno 2012

l'accampamento della gara

brava e basta!

in gara...

in vacanza...

Stavolta si parte proprio all’alba, carichiamo le moto al buio, usciamo sullo stradone e mentre spuntano i primi raggi di sole riusciamo a rimediare un caffè con qualche biscotto nell’unico chiosco aperto. Da Cuya ad Iquique ci sono circa duecento km di sabbia, pietraie, fiumi in secca ma non un villaggio e men che meno un distributore, con il mio serbatoio da 30 litri non dovrei avere problemi di autonomia ma le due KTM di Roelof e Byron  rischiano di morire di sete a metà strada. Pare che fra una ventina di km ci sia un altro chiosco e ”forse”… “potrebbe essere”…”alle volte” il tipo ha della benzina da vendere. Ci mettiamo in marcia, i due giovanotti viaggiano piuttosto allegri davanti a me, passano a spanne una ventina di km e vedo sfilare alla mia destra un piazzalone di ghiaia arretrato dalla strada di un centinaio di metri, in fondo al piazzalone una baracchetta con una timida insegna di ristorante e una macchina parcheggiata davanti, i ragazzi hanno tirato diritto ma mi viene il sospetto che potrebbe essere proprio quello il posto della benzina, faccio inversione ed entro nella baracchetta, un paio di tavolini in legno, qualche sedia di pertinenza, una tenda  e dietro la tenda un paio di uova stanno friggendo sotto le cure attente della titolare, la benzina è fondamentale per cui recupero il  sorriso che di solito riservo ai funzionari delle dogane quando mi servono i permessi di importazione per la moto e chiedo. La benzina potrebbe esserci ma bisogna chiedere al figlio che è disperso da qualche parte nel retro ma la priorità in questo momento sono le uova e il resto della colazione del signore seduto al tavolino, quindi mettersi in lista e aspettare. Esco e mi affaccio sulla strada, i ragazzi sono fermi sul ciglio un paio di km più avanti, mi sbraccio e li faccio tornare indietro, rientro nella baracchetta e la questione colazione è stata risolta, la cuoca va in cerca del figlio e lo trova, il figlio va in cerca della tanica e la trova, dei venti litri disponibili ne prendo un paio tanto per essere tranquillo mentre il resto se lo dividono gli altri due che concordano pienamente sul fatto che mi sia guadagnato una bevuta gratis. Iquique ( che tanto per dire si legge Ichiche…)  e la sveglia in piena notte non sono dovute al caso, la città cilena ospita oggi una tappa della Dakar che anche quest’anno è partita dall’Argentina e dopo il Cile si trasferisce in Perù per terminare a Lima, Più che viaggiatori Byron e Roelof sono appassionati di enduro e il loro tour sudamericano punta molto a giocare sugli sterrati della cordigliera ed a seguire per qualche giorno la gara. l’arrivo dei piloti è previsto a qualche ora del pomeriggio ma già a fine mattinata l’atmosfera nei dintorni della città è elettrizzata. Al traffico quotidiano di una città di duecentomila abitanti si aggiungono le carovane di macchine e di camion più o meno sponsorizzati che si mescolano alle carovane di appassionati che arrivano e ripartono sparpagliandosi nel deserto per  andare a cercare una postazione dove aspettare il passaggio dei piloti. Al distributore conosciamo Javier, secondo Javier è troppo complicato spiegarci dove andare a vedere l’arrivo per cui ci propone di seguire lui con i suoi amici. Byron e Roelof sono molto più attrezzati e leggeri di me per uscire dall’asfalto, chiedo a Javier ma sono pochi km e la strada è buona quindi mi aggancio. Un paio di km verso la città poi comincia la terra, qualche buca ma il fondo è duro e buono, attraversiamo una discarica, Javier con la sua Toyota comincia ad accorciare le traiettorie inventandosi nuovi percorsi fuori dalla pista battuta e immediatamente comincia a diventarmi un po’ antipatico, durante una di queste escursioni fuori dalla pista affrontando una salita i trecento e passa chili della moto carica si fanno notare, i pneumatici sfondano la crosta superficiale e affondano nella sabbia ma riesco a venirne fuori da solo con i complimenti di Roelof, ci fermiamo per un veloce raggruppamento , stando alle prime informazioni la postazione avrebbe dovuto essere poco fuori dalla città, chiedo quanto manca…ancora mezzora…, Javier diventa ancora più antipatico ma non ci si tira indietro e il gruppo riparte. La strada comincia a perdersi  fra le prime colline del deserto che circonda la città, Javier con il suo fuoristrada fa il cretino su e giù per le dune, Byron arriva lungo su una curva e si insabbia fino ai mozzi, in qualche modo lo tiriamo fuori, la terra battuta spesso si trasforma in morbido pietrisco che non aiuta né lo spirito né tantomeno la stabilità della moto, quando invece nelle zone più esposte al vento che arriva dal mare e dalla spiaggia il fondo si ricopre di morbidissima sabbia ed ecco che rimanere in piedi diventa un bell’affare. La ruota anteriore tende a piantarsi nella sabbia e a piegare il manubrio rischiando di farmi cappottare, bisognerebbe tenere alta la velocità per far “galleggiare” la moto ma hai voglia a far galleggiare tutto il carico che mi porto dietro, la tensione è alta, rischiare di cadere e rompermi qualcosa o rompere qualcosa sulla moto vorrebbe dire probabilmente mandare all’aria il resto del viaggio e chiuderlo adesso che il traguardo della Terra del Fuoco è quasi davanti al naso sarebbe molto ma molto seccante…tanto per dirla in modo elegante…! L’inferno dura 24 km, 24 km di irripetibili litanie che però  mi fanno raggiungere indenne la postazione, Javier ormai non ha più chances di tornarmi simpatico nemmeno con la birra ghiacciata che toglie dalla borsa frigo che ha nel bagagliaio e mi offre sorridente. Il GPS segna 800 metri di altitudine e il mare è sotto di noi ad un paio di km, una lunga discesa e sulla spiaggia l’accampamento che aspetta i piloti. Lungo tutti i 24 km di inferno sabbioso che abbiamo percorso abbiamo incontrato giusto un paio di macchine ma adesso sembra di essere a Copacabana. Dal nulla si sono materializzate centinaia di persone che affollano le dune circostanti e che scorrazzano su e giù con qualsiasi mezzo abbia un motore e un certo numero di ruote, da due in su, più o meno adatte a girare sulla sabbia e a far divertire il conducente. L’atmosfera è elettrizzata dall’attesa dei piloti ma per il resto lo stato d’animo non è al massimo,  l’avvicinamento con i suoi 24 km di deserto non è stato per nulla entusiasmante, l’idea di doverli rifare al contrario non aiuta inoltre dal mare tira un forte quanto fastidioso vento che riempie gli occhi di sabbia e costringe di continuo a riporre la macchina fotografica per proteggerla. I piloti sono in ritardo rispetto al previsto quindi rimaniamo quasi due ore a farci levigare il naso dalla sabbia prima di veder passare il primo, dopo ore di gara arrivano naturalmente alla spicciolata, prima uno, passano alcuni lunghi minuti poi una coppia, altri minuti ancora più lunghi poi un altro, una pausa poi un altro ancora, i primi naturalmente sono belli grintosi ma gli altri sembrano in gita di piacere, insomma… due palle infinite. Dopo le moto arriva qualche macchina, i camion, forse i più spettacolari, sono ugualmente in ritardo ma sta diventando tardi e dobbiamo recuperare un albergo e temiamo non sarà facile per cui verso le cinque del pomeriggio molliamo Javier e la compagnia e ci ributtiamo sulla pista per tornare in città. Sarà perché sapevo cosa mi aspettava ma per tornare in città non servono tutte le litanie dell’andata e ne risparmio quindi qualcuna per le prossime occasioni che so non mancheranno, arriviamo in città e riusciamo a risolvere un problema a Byron che aveva esaurito le pastiglie del freno posteriore poi tocca al tetto per la notte. Come previsto la città è in subbuglio, dopo quindici alberghi abbiamo rimediato una tripla in uno squallidissimo ostello e senza nemmeno il garage, prima di confermarla continuiamo a cercare finché dopo altri tre tentativi  ne recuperiamo un’altra non particolarmente più appetibile ma soprattutto dotata di un cortile chiuso per le motorette. Un’altra lunga giornata si conclude, come promesso la cena viene accompagnata da una solenne quantità di vino cileno offerto dai ragazzi, poi, motivatamente felici, ci si schianta a letto! Ognuno nel suo...;) 

sabato 19 maggio 2012

...beh...la televisione va alimentata in qualche modo...

..un pò di orto...

...l'essenziale...

...e il televisore...

...e se dico isola è isola!

...e se dico neve è neve!

idem.

Cuya, la metropoli!