domenica 22 luglio 2012

Valpo...

ancora Valpo

la casa di Pablo

...e l'oceano di Pablo

incontri alla frontiera sotto la pioggia.

Dunque riepiloghiamo, dopo le sistemazioni fatte prima di partire da La Serena il problema delle luci dovrebbe essere stato risolto sfrattando la famigliola di ragni dal devioluci, i tubi benzina sono stati cambiati quindi probabilmente non prenderemo fuoco lungo la strada, rimane l’olio motore da sostituire e le afte in bocca che non danno tregua ma splende il sole, anche troppo stavolta…, e Valparaíso si avvicina. L’illusione del devioluci dura il tempo di uscire dalla città, le luci continuano ad operare in regime di assoluta anarchia e la famigliola di ragni che mi scarrozzavo appresso da chissà dove avrebbe potuto continuare la sua transumanza a sbafo. Il paesaggio comincia piano piano a variare, dalle pietraie spuntano i primi cactus, poi ai cactus si aggiungono alcuni arbusti, poi sotto ai cactus e agli arbusti spunta una timida erbetta secca e giallastra. A cento km da Valpo esco dalla Panamericana e arrivo sulla costa, avvicinandomi cominciano a farsi vedere anche i pini e insieme ai pini le spiagge, gli alberghi, le case al mare dei vacanzieri e il traffico conseguente, tutte cose di cui peraltro non sentivo affatto la mancanza. Con l’apertura del canale di Panama nel 1914 il porto di Valparaíso,  tappa obbligata per ogni nave che si accingeva ad affrontare oppure si era appena lasciata alle spalle le leggendarie tempeste di Capo Horn , cominciò a perdere importanza ma rimane tutt’oggi la capitale culturale del Cile, evitando accuratamente i grandi e caotici viali del centro salgo sulle alture dietro al porto e raggiungo i vecchi quartieri residenziali, l’atmosfera è accattivante, stretti vicoli pedonali dritti come una fucilata salgono ripidi dal porto e si incrociano con tortuose stradine di ciottoli che seguendo le linee delle colline creano un effetto a gradoni sui quali poggia una tipica architettura primonovecentesca di palazzine e ville signorili, piccoli bar letterari, minuscoli alberghi di design, ricercate caffetterie ma anche locali più o meno probabili arredati saccheggiando a piene mani dalle botteghe dei rigattieri saturano l’aria con un effetto molto “ bohemienne”. Sgangherati backpackers si confrontano con turisti da 100 dollari a notte in un calderone dai colori senza dubbio intercontinentali. Trovo un ostello decente e decido che vale la pena fermarsi un paio di giorni per riposare e riordinare le idee. Sepulveda scrive che varcando il confine del Cile lo spirito di Pablo Neruda ti viene incontro e ti accoglie benevolente sulla sua terra, decido di onorare la sua accoglienza con una visita. A circa ottanta chilometri a sud di Valpo c’è Isla Negra che non è un isola ma bensì la residenza preferita del grande poeta, con fantozziana precisione riesco a centrare il giorno di chiusura settimanale, quindi niente visita al suo museo personale di strumenti da navigazione, alla sua collezione privata di barche in bottiglia, alla sua raccolta di piccole sculture in legno, niente due passi nel suo giardino sopra la spiaggia, niente la sua barchetta appoggiata sul prato, per un paio di ore gironzolo intorno alla staccionata rubando qualche occhiata e qualche foto qua e là, passeggio per la spiaggia e mi arrampico sui bassi scogli dove si infrangono le onde del pacifico, ovviamente le stesse onde che guardava anche il vecchio Pablo, e non è poco…! Nonostante la sosta di un giorno e la conseguente pausa i problemi alla bocca continuano ed anzi le ulcere si moltiplicano, la pomata non sembra avere alcun effetto mentre invece lavarsi i denti e soprattutto mangiare qualsiasi cosa diventa una tortura. Anche la faccenda delle luci sta diventando seccante, viaggio ormai da qualche giorno solo con le luci di posizione e questo non è per niente bello, a Mendoza, in Argentina, oltre le Ande a circa 400 km c’è una concessionaria che potrebbe essere una buona opzione per sistemare definitivamente la faccenda. Risalgo verso nord, passo Santiago e ricomincia l’ennesima arrampicata sulle Ande. Con ampi tornanti la strada sale per decine di km su un enorme ghiaione incrociando funivie e stazioni sciistiche, sull’altopiano finisce il territorio cileno ma per arrivare ad incontrare i funzionari dei due paesi ci vogliono ancora una ventina di km, gli uffici fanno capolino in fondo ad un enorme piazzalone totalmente invaso dalle macchine che un paio di poliziotti stanno cercando di smistare, accenno un tradizionale “salto della coda” ma gli uomini in divisa mi beccano subito, faccio presente che tradizionalmente le moto hanno diritto a passare avanti ( ovviamente non sta scritto da nessuna parte ma di solito ci credono tutti…) ma mi rispondono che qui siamo in Argentina e che la cosa non funziona affatto così, il pomeriggio è avanzato e a spanne rischio di perdere anche tre o quattro ore per passare la dogana, poi si deve scendere dalla Cordigliera e arrivare a Mendoza, altri 180 km e il rischio di arrivare al buio è alto, torno alla carica con il poliziotto e gli faccio presente che per una moto può essere particolarmente rischioso viaggiare di notte in mezzo alle montagne ecc. ecc. ma di rimando mi ringhia che in Argentina si viaggia obbligatoriamente con le luci accese quindi se ho problemi alle luci semplicemente non mi fa entrare in Argentina e così il problema è risolto, ovviamente bleffo alla grande che le mie luci sono a postissimo  e dicevo solo per dire per cui a questo punto me la metto via e rientro in coda con le regolamentari e ormai leggendarie pive nel sacco. Siamo a circa tremila metri sotto il massiccio dell’Aconcagua ma naturalmente siamo anche sotto le nuvole quindi dell’Aconcagua non si vede niente e in compenso comincia a piovigginare così le pive oltre ad essere nel sacco sono anche bagnate. Per entrare in Argentina, che fra l’altro comincia a starmi già un po’ sulle balle, ci metto quasi tre ore e si saranno fatte le cinque del pomeriggio, fra il confine e Mendoza c’è un villaggetto poco prima della pianura, intasco i soliti permessi e parto, lungo la strada incontro qualche pattuglia di poliziotti che mi fa cenno di accendere le luci, sempre a cenni rispondo di aver capito, poi saluto, sorrido e faccio tutto quello che serve per far capire che le sto accendendo anzi ecco che allungo la mano verso l’interruttore e faccio finta di accenderle ma intanto li ho già alle spalle, loro sono contenti e quindi il problema e risolto, io continuo senza luci ma loro non lo sanno…J Entro nel villaggetto, quattro case in croce sulle rive di un grande lago artificiale ma di alberghi nemmeno l’ombra, forse laggiù affittano camere ma la casa sembra disabitata da mesi, niente da fare, bisogna arrivare fino a Mendoza, entro in città al buio ma a quel punto non mi preoccupo più, recupero un albergo e soffrendo come sotto i ferri del dentista mi concedo la prima grigliata argentina. Domani intanto ci prenderemo cura della motoretta.