Stavolta si parte proprio all’alba, carichiamo le moto al
buio, usciamo sullo stradone e mentre spuntano i primi raggi di sole riusciamo
a rimediare un caffè con qualche biscotto nell’unico chiosco aperto. Da Cuya ad
Iquique ci sono circa duecento km di sabbia, pietraie, fiumi in secca ma non un
villaggio e men che meno un distributore, con il mio serbatoio da 30 litri non
dovrei avere problemi di autonomia ma le due KTM di Roelof e Byron rischiano di morire di sete a metà strada.
Pare che fra una ventina di km ci sia un altro chiosco e ”forse”… “potrebbe
essere”…”alle volte” il tipo ha della benzina da vendere. Ci mettiamo in
marcia, i due giovanotti viaggiano piuttosto allegri davanti a me, passano a
spanne una ventina di km e vedo sfilare alla mia destra un piazzalone di ghiaia
arretrato dalla strada di un centinaio di metri, in fondo al piazzalone una
baracchetta con una timida insegna di ristorante e una macchina parcheggiata
davanti, i ragazzi hanno tirato diritto ma mi viene il sospetto che potrebbe
essere proprio quello il posto della benzina, faccio inversione ed entro nella
baracchetta, un paio di tavolini in legno, qualche sedia di pertinenza, una
tenda e dietro la tenda un paio di uova
stanno friggendo sotto le cure attente della titolare, la benzina è fondamentale
per cui recupero il sorriso che di
solito riservo ai funzionari delle dogane quando mi servono i permessi di
importazione per la moto e chiedo. La benzina potrebbe esserci ma bisogna
chiedere al figlio che è disperso da qualche parte nel retro ma la priorità in
questo momento sono le uova e il resto della colazione del signore seduto al
tavolino, quindi mettersi in lista e aspettare. Esco e mi affaccio sulla
strada, i ragazzi sono fermi sul ciglio un paio di km più avanti, mi sbraccio e
li faccio tornare indietro, rientro nella baracchetta e la questione colazione
è stata risolta, la cuoca va in cerca del figlio e lo trova, il figlio va in
cerca della tanica e la trova, dei venti litri disponibili ne prendo un paio
tanto per essere tranquillo mentre il resto se lo dividono gli altri due che
concordano pienamente sul fatto che mi sia guadagnato una bevuta gratis.
Iquique ( che tanto per dire si legge Ichiche…) e la sveglia in piena notte non sono dovute al
caso, la città cilena ospita oggi una tappa della Dakar che anche quest’anno è
partita dall’Argentina e dopo il Cile si trasferisce in Perù per terminare a
Lima, Più che viaggiatori Byron e Roelof sono appassionati di enduro e il loro
tour sudamericano punta molto a giocare sugli sterrati della cordigliera ed a
seguire per qualche giorno la gara. l’arrivo dei piloti è previsto a qualche
ora del pomeriggio ma già a fine mattinata l’atmosfera nei dintorni della città
è elettrizzata. Al traffico quotidiano di una città di duecentomila abitanti si
aggiungono le carovane di macchine e di camion più o meno sponsorizzati che si
mescolano alle carovane di appassionati che arrivano e ripartono sparpagliandosi
nel deserto per andare a cercare una
postazione dove aspettare il passaggio dei piloti. Al distributore conosciamo
Javier, secondo Javier è troppo complicato spiegarci dove andare a vedere
l’arrivo per cui ci propone di seguire lui con i suoi amici. Byron e Roelof
sono molto più attrezzati e leggeri di me per uscire dall’asfalto, chiedo a
Javier ma sono pochi km e la strada è buona quindi mi aggancio. Un paio di km
verso la città poi comincia la terra, qualche buca ma il fondo è duro e buono,
attraversiamo una discarica, Javier con la sua Toyota comincia ad accorciare le
traiettorie inventandosi nuovi percorsi fuori dalla pista battuta e immediatamente
comincia a diventarmi un po’ antipatico, durante una di queste escursioni fuori
dalla pista affrontando una salita i trecento e passa chili della moto carica
si fanno notare, i pneumatici sfondano la crosta superficiale e affondano nella
sabbia ma riesco a venirne fuori da solo con i complimenti di Roelof, ci
fermiamo per un veloce raggruppamento , stando alle prime informazioni la
postazione avrebbe dovuto essere poco fuori dalla città, chiedo quanto
manca…ancora mezzora…, Javier diventa ancora più antipatico ma non ci si tira
indietro e il gruppo riparte. La strada comincia a perdersi fra le prime colline del deserto che circonda
la città, Javier con il suo fuoristrada fa il cretino su e giù per le dune,
Byron arriva lungo su una curva e si insabbia fino ai mozzi, in qualche modo lo
tiriamo fuori, la terra battuta spesso si trasforma in morbido pietrisco che
non aiuta né lo spirito né tantomeno la stabilità della moto, quando invece
nelle zone più esposte al vento che arriva dal mare e dalla spiaggia il fondo
si ricopre di morbidissima sabbia ed ecco che rimanere in piedi diventa un
bell’affare. La ruota anteriore tende a piantarsi nella sabbia e a piegare il
manubrio rischiando di farmi cappottare, bisognerebbe tenere alta la velocità
per far “galleggiare” la moto ma hai voglia a far galleggiare tutto il carico che
mi porto dietro, la tensione è alta, rischiare di cadere e rompermi qualcosa o
rompere qualcosa sulla moto vorrebbe dire probabilmente mandare all’aria il
resto del viaggio e chiuderlo adesso che il traguardo della Terra del Fuoco è
quasi davanti al naso sarebbe molto ma molto seccante…tanto per dirla in modo
elegante…! L’inferno dura 24 km, 24 km di irripetibili litanie che però mi fanno raggiungere indenne la postazione,
Javier ormai non ha più chances di tornarmi simpatico nemmeno con la birra
ghiacciata che toglie dalla borsa frigo che ha nel bagagliaio e mi offre
sorridente. Il GPS segna 800 metri di altitudine e il mare è sotto di noi ad un
paio di km, una lunga discesa e sulla spiaggia l’accampamento che aspetta i
piloti. Lungo tutti i 24 km di inferno sabbioso che abbiamo percorso abbiamo
incontrato giusto un paio di macchine ma adesso sembra di essere a Copacabana.
Dal nulla si sono materializzate centinaia di persone che affollano le dune
circostanti e che scorrazzano su e giù con qualsiasi mezzo abbia un motore e un
certo numero di ruote, da due in su, più o meno adatte a girare sulla sabbia e
a far divertire il conducente. L’atmosfera è elettrizzata dall’attesa dei
piloti ma per il resto lo stato d’animo non è al massimo, l’avvicinamento con i suoi 24 km di deserto
non è stato per nulla entusiasmante, l’idea di doverli rifare al contrario non
aiuta inoltre dal mare tira un forte quanto fastidioso vento che riempie gli occhi
di sabbia e costringe di continuo a riporre la macchina fotografica per
proteggerla. I piloti sono in ritardo rispetto al previsto quindi rimaniamo
quasi due ore a farci levigare il naso dalla sabbia prima di veder passare il
primo, dopo ore di gara arrivano naturalmente alla spicciolata, prima uno,
passano alcuni lunghi minuti poi una coppia, altri minuti ancora più lunghi poi
un altro, una pausa poi un altro ancora, i primi naturalmente sono belli
grintosi ma gli altri sembrano in gita di piacere, insomma… due palle infinite.
Dopo le moto arriva qualche macchina, i camion, forse i più spettacolari, sono
ugualmente in ritardo ma sta diventando tardi e dobbiamo recuperare un albergo
e temiamo non sarà facile per cui verso le cinque del pomeriggio molliamo
Javier e la compagnia e ci ributtiamo sulla pista per tornare in città. Sarà
perché sapevo cosa mi aspettava ma per tornare in città non servono tutte le
litanie dell’andata e ne risparmio quindi qualcuna per le prossime occasioni
che so non mancheranno, arriviamo in città e riusciamo a risolvere un problema
a Byron che aveva esaurito le pastiglie del freno posteriore poi tocca al tetto
per la notte. Come previsto la città è in subbuglio, dopo quindici alberghi
abbiamo rimediato una tripla in uno squallidissimo ostello e senza nemmeno il
garage, prima di confermarla continuiamo a cercare finché dopo altri tre
tentativi ne recuperiamo un’altra non
particolarmente più appetibile ma soprattutto dotata di un cortile chiuso per
le motorette. Un’altra lunga giornata si conclude, come promesso la cena viene
accompagnata da una solenne quantità di vino cileno offerto dai ragazzi, poi,
motivatamente felici, ci si schianta a letto! Ognuno nel suo...;)