domenica 26 febbraio 2012

Ecuador

pausa pranzo al mercato

le padelle

ovviamente la cascata

ovviamente Cesar

...e il promettente cielo della sera!

Ecuador

Da Pasto al confine con l’Ecuador non ci si mette molto, la strada taglia il pendio a mezza costa e segue il fiume che scorre nella valle qualche centinaia di metri più in basso,  le pareti sono ripide e sul lato opposto gli appezzamenti  coltivati sembrano stracci colorati appoggiati al terreno pronti a scivolare a valle nel fiume. Un po’ di coda per timbrare sul passaporto l’uscita dalla Colombia , pochi secondi per restituire il permesso di importazione della moto poi la coda all’ufficio immigrazione dell’Ecuador, il sistema informatico della dogana invece è in tilt e il permesso per la moto lo rilascia l’ufficio in città qualche km più avanti, nel frattempo è arrivato Nate, di spagnolo non ne mastica molto e decido di aspettare che faccia la coda all’immigrazione per andare insieme agli uffici della dogana, ovviamente arriviamo nella pausa pranzo e dobbiamo aspettare che gli impiegati rientrino, inganniamo l’attesa e anche la fame con un tamales che è una specie di pastella dolce quasi zuccherina con al suo interno dei pezzi di carne (!) il tutto avvolto in una foglia e cucinato, la foglia non si mangia ma il resto è commestibile, se poi vi piace l’agrodolce meglio, a me non molto ma ci si adatta! Con la debita calma rientrano gli impiegati della dogana, ci fanno il permesso e si riparte, la mia prossima tappa prevista è Otavalo, trentamila abitanti circa ma una volta per settimana (ed è domani) uno dei mercati più importanti e caratteristici del Sudamerica. Nate sta viaggiando da S. Diego verso il sud e forse fino ad Ushuaia (pure lui!) con un fratello ed un amico al momento bloccati a Medellin da un problema meccanico mentre lui dopodomani deve essere a Quito per recuperare una fidanzata  che arriva in aereo per agganciarsi al gruppo. Arrivati ad Otavalo teoricamente Nate dovrebbe proseguire ma gli parlo del mercato e decide di fermarsi fino a domani. Il mercato si espande dalla piazza centrale per almeno sei isolati in altezza e tre in larghezza, nell’area dell’ortofrutta ai venditori quotidiani se ne aggiungono altri che stendono su un lenzuolo in mezzo alla strada i pochi prodotti dell’orto di casa, fagioli, qualche pomodoro, qualche banana. Il resto è un tripudio di tutto, l’offerta spazia dagli sgargianti tessuti degli indigeni alle padelle in allumino ultima ( beh…forse penultima…) generazione, dalle custodie per i cellulari ai quadri naif e agli strumenti musicali. Di fame qui non si muore, generazioni di donne della stessa famiglia si arrabattano intorno a dei padelloni da metroquadro dove contemporaneamente cucinano o riscaldano il piatto principale e tutti i vari contorni, intorno al padellone un banchetto con una panca accoglie i commensali, non pìù di tre o quattro alla volta, qui non si cincischia a tavola, si mangia e si va fuori dalle palle per fare posto al prossimo. Vagando in mezzo al traffico delle bancarelle mi aggancia Cesar, indigeno Quichua centopercento, ha vissuto quattordici anni in Italia girando l’Europa vendendo prodotti artigianali nei mercatini e suonando musiche andine dove gli capitava, l’Europa non butta più tanto bene quindi è ritornato in Ecuador dove spera in un prestito della banca per allargare la bottega di strumenti musicali e aprire un piccolo locale ma soprattutto spera di riuscire a vivere sulla sua terra con la sua famiglia e insieme alla sua gente. L’appuntamento è per la sera in un locale dove suoneranno alcuni suoi amici, oltre agli amici  che suonano e a quelli che bevono, e mica poco…, c’è Arjia Tojvonen che avrete già intuito non è proprio nativa della zona, infatti è finlandese, ma da una ventina d‘anni bazzica fra Colombia, Ecuador e Perù inseguendo sciamani e dipingendo quadri, fra un inseguimento e l’altro si è anche trovata un marito ecuatoriano che però vive in Finlandia mentre lei vive quasi tutto l’anno a Otavalo, anzi per la precisione a Peguche  che è lì vicino ed è famosa per la cascata. L’opinione generale è che non posso partire senza aver visto la cascata per cui Cesar mi strappa la promessa di fermarmi anche la mattina dopo per una pastasciutta a casa di Arija e per la visita alla cascata. Fra una cosa e l’altra arriviamo un po’ lunghi sul pomeriggio quindi decido di fermarmi ancora una notte, Quito è rimandata a domani.