Da Mendoza a S. Carlos de Bariloche ci sono circa 1300 km,
con una tappa intermedia dovrei farcela in un paio di giorni, piccola sosta e
poi vediamo…, i ragazzi della corte del
saldatore di marmitte sconsigliano per il momento la Ruta 40, con una leggera
deviazione posso rimandare l’appuntamento con la polvere. Per un paio di
centinaia di km si passa da un’azienda agricola all’altra, grandi case
coloniche in stile, cantine ultramoderne, cisterne in acciaio inossidabile, foresterie
che sembrano design hotel, ogni tanto il
villaggio di riferimento e in mezzo filari interminabili di vigne, da un km
all’altro finisce tutto e comincia la pampa, avrà sicuramente il suo fascino ma
da subito si presenta come una dei paesaggi più noiosi che abbia mai visto,
qualche arbusto, qualche cespuglio, poca erba giallastra su un terreno quasi
sabbioso e grigio, le Ande sono una lontana linea morbidamente frastagliata che
separa il grigio dall’ azzurro del cielo. A parte alcune leggere ondulazioni
del terreno che non superano un paio di decine di metri tutto il resto è definitivamente
piatto! Tardo pomeriggio, mancano un centinaio di km per 25 de Mayo, da un bel
po’ viaggio nel bel mezzo del niente, una moto ferma sul ciglio della strada
con una faccia decisamente sconsolata appoggiata sopra mi risvegliano dal
torpore della noia, ci metto qualche istante a realizzare poi freno, faccio
inversione e la faccia ha un nome e parla, è Juan di Neuquen che sta andando a
Nord ad un incontro di motociclisti ma ha forato l’anteriore. È fermo da almeno
un ora e delle quattro macchine che sono passate nessuna ha accennato a
fermarsi, ha un cellulare ma siamo a circa cento km dal primo centro abitato e
non c’è copertura. Gli offro la mia bomboletta ripara-gomme che dovrebbe
funzionare anche con le camere d’aria ma non la vuole, probabilmente la camera
d’aria è troppo malandata e non funzionerebbe. Mi lascia il numero di Marcelo,
appena trovo un telefono lo devo chiamare, dargli la posizione di Juan e mandarlo là con camera d’aria, leve
smontagomme e pompa, gli offro un po’ di biscotti ma non li vuole, accetta
invece la bottiglia di acqua che ho con me. Facciamo insieme un due conti e a
spanne che arrivi ad un telefono, chiami Marcelo, che Marcelo si organizzi e
arrivi da Juan ci vorranno almeno tre ore ma Juan è sereno e comunque ha tenda
e sacco a pelo quindi anche se, come si dice, è praticamente in mezzo ad una
strada, un tetto…o qualcosa del genere… c’è! In un ora arrivo circa a Cruce del
Deserto, di nome e di fatto, due rette
che si incrociano, niente a destra, niente a sinistra, niente su, niente
giù, a lato della strada solo un albergo con ristorante ma il tutto è
decisamente sproporzionato visti i paraggi, anche il prezzo è sproporzionato,
75 dollari sono esattamente una rapina e non manco di farlo presente, la
titolare mi propone un arrotondamento ma ugualmente non ci siamo ancora e
comunque c’è da salvare Juan. Spiego la situazione all’ometto della reception
che telefona a Marcelo. Marcelo non risponde. Richiama e Marcelo risponde, si
fa per dire perché l’ometto gli spiega come sta la questione ma dalla faccia
non sembra troppo convinto di quello che sta facendo. Mette giù e mi conferma
l’impressione ma non riesco a capire cosa stia succedendo. Chiedo di parlarci, prego
di richiamare e di nuovo Marcelo risponde, la voce sembra totalmente dissociata
da chi sta parlando, le risposte arrivano sempre qualche istante in ritardo
rispetto a quando dovrebbero segno che nonostante la facilità apparente della
risposta necessitano sempre di un momento di riflessione; sei Marcelo?... Si… Sei l’amico di Juan che è
partito stamattina in moto?... Si… Hai presente chi è Juan?... … Si… Hai capito
dove ti sta aspettando?...Si…Hai capito che ha bisogno che tu vada a
recuperarlo con camera d’aria, leve smontagomme e pompa?...Si. Mi arrendo, o
meglio spero che Marcelo, che probabilmente ha appena testato tutto il nuovo
campionario di stupefacenti che gli hanno recapitato abbia uno sprazzo di
lucidità e si renda almeno conto in quale galassia si trovi e vada a recuperare
Juan. Rendo la cornetta all’ometto della concierge, lo sguardo di intesa che ci
scambiamo è eloquente, combatto con un leggero senso di colpa, forse non dovrei
fidarmi ma è quasi buio, sono praticamente in mezzo al deserto e più che
tornare da Juan con una birra tiepida e una bistecca fredda non potrei fare e
se Marcelo torna in sé lo salva lui, se non torna in sé Juan è giovane e
sufficientemente in carne da non morire di fame anche se salta una cena,
domattina fermerà qualcun altro e alla peggio arriverà al raduno un giorno in
ritardo. Mi metto l’animo in pace. Torniamo alla trattativa. Nonostante
l’arrotondamento il prezzo della camera rimane improponibile, a una decina di
km c’è il villaggio e forse si combina qualcos’altro. Per arrivarci si deve
uscire dallo stradone principale, al bivio ci sono due specie di motel ma sono
esauriti, la faccenda si complica, entrando nel villaggio trovo l’ultimo motel,
la camera c’è e costa 45 dollari che per
essere in un posto di merda in mezzo al nulla è ancora una follia ma stavolta
non possiamo più fare gli schizzinosi e accetto. Per la cena entro nel
villaggio che offre una specie di panineria e un baretto che serve pizza e
pollo arrosto. Con le infiammazioni che continuano a massacrarmi la bocca la
pizza sarebbe l’ennesima tortura per cui vado di pollo arrosto, dopo quasi
un’ora e almeno tre birrette per aiutare a dimenticare il contesto arriva una
mattonella di carne troppo bianca e troppo stopposa che sembra di masticare
gesso da presa ma le tre birrette hanno fatto il loro dovere e una quarta
completa l’opera. Considerato tutto il contesto comincio a capire anche
Marcelo. La colazione è in linea con lo squallore di tutto il resto, una tazza
di thè, una fetta di qualcosa che potrebbe ricordare del pane e una
mattonellina di marmellata insipida, per un bicchiere di liquido color
aranciata si deve pagare una differenza…la truffa dei 45 dollari comincia a
irritarmi sempre di più, una misera camera,
niente parcheggio e la moto rimane parcheggiata in mezzo alla strada, uno
straccio di connessione internet non è nemmeno prevista, sulla colazione mi
sono espresso, quando chiedo di poter
fare una telefonata a Bariloche mi sento rispondere che devo andare fino in
paese al posto telefonico pubblico…intuisco che il giovanotto che ho di fronte
è il figlio dei proprietari, bene! Quindi non è un dipendente contro il quale
non sarebbe giusto sfogarsi e quindi gli spiego dettagliatamente quello che
penso sul suo albergo e sul fatto che per un senso di equità e giustizia se
tanto chiedi almeno qualcosa devi offrire, il mio spagnolo esce talmente
fluente che il personaggio afferra il
concetto al volo, tenta di controbattere ma non c’è fisicamente lo spazio, con
lo stesso stile mi accomiato, salgo in moto e me ne vado lasciandolo
visibilmente offeso, perfetto! J
I primi 500 km sono di una noia mortale, il nulla mi circonda e il caldo non
aiuta. A 150 km cominciano a cambiare un po’ le cose, la strada si arrampica su
una cresta di colline che nascondono un grande bacino artificiale, un po’ di
saliscendi intorno al lago poi si continua a salire, un altro lago, questa
volta naturale e annuncia S. Carlos de Bariloche, probabilmente la più
importante stazione invernale del Sudamerica, ma siamo in gennaio e quindi in
piena estate australe e la temperatura torrida e l’aria polverosa stridono
parecchio con le facciate simil-tirolesi degli alberghi delle vie centrali. L’atmosfera
sta cambiando, già con Mendoza si è iniziato a respirare un aria vagamente
europea, lineamenti indigeni e carnagioni color caffellatte sono
ormai un ricordo, ogni viso tradisce un avo italiano, un nonno spagnolo o una
zia teutonica. Mi fermo per due notti, quest’aria quasi di casa non mi mancava
affatto, la meta non è più lontanissima e l’idea che l’avventura stia per
terminare comincia ad affacciarsi.