La giornata si presume impegnativa quindi la sveglia è,
compatibilmente con la situazione, piuttosto presto. Con un paio di dollari
supplementari arriva anche una specie di colazione, si carica la moto, Pablo
ricompone e fissa con un’interminabile serie di elastici il suo condominio di
bagagli, accomoda le terga sul tappetino di pelo di pecora che riveste la sella
e via per la prima tappa che sarebbe il distributore dove ci siamo incontrati
la sera prima. Un paio di centinaia di metri e siamo già fermi, Pablo deve
rabboccare, nel piazzale, che ovviamente è tutt’uno con il resto del paesaggio
, spicca la presenza di una terza motoretta, in breve appare anche il suo
guidatore, ci si presenta, …Luciano di Rosario, Argentina, dove vai? … a El Calafate, guarda un
po’…anche noi, quindi si va insieme? …ovvio! Si parte e stavolta sul serio, un
po’ di asfalto, un po’ di sterrato, un altro po’ di asfalto e un altro po’ di
sterrato e si arriva a Gobernador Gregores, che, escludendo le altre mille
soste per bere, svuotare, mettersi la felpa più grossa, togliersi la felpa più
grossa, sgranchirsi le gambe, fare una foto, fare un video, fare un'altra foto,
ecc.ecc.ecc…. sarebbe la prima tappa. Per
la verità ci sarebbe stata una deviazione che avrebbe leggermente accorciato di
qualche decina di km il percorso per raggiungere Tres Lagos ma c’è sempre
l’incognita benzina, Pablo nonostante la tanica che si porta dietro non ci sarebbe
arrivato, io ci sarei arrivato ma quasi a secco con il rischio di non poter
continuare se avessi trovato il distributore esaurito, Lucho ( che ovviamente
si legge Lucio ) teoricamente avrebbe voluto tagliare e arrivare direttamente a
Tres Lagos ma, vuoi che forse si trovava bene in compagnia, vuoi che a tutti è
sfuggito il bivio, il gruppo alla fine rimane unito. Al distributore troviamo
un altro brasiliano di Minas Gerais che sta risalendo da solo, ci aspettano 170
km filati di sterrato che definisce “ muy
feo”, letteralmente starebbe per molto cattivo, ora uno sterrato diventa
molto cattivo quando è molto insidioso, infatti dei due occasionali compagni di
strada del brasiliano uno si è piantato
ed è atterrato di faccia sulla ghiaia sbriciolando la visiera del casco e forse
anche un po’ del rivestimento del viso, paura e disagi conseguenti sono stati
superati ma stanno procedendo piano e il tipo li ha scaricati. Si fa il pieno a
serbatoi e taniche e allo stomaco con qualche improbabile cibo fornito dalla
striminzita cucina del distributore poi si parte per il gran balzo. Dopo poche
decine di km incrociamo i due che procedono con evidente cautela quasi a passo
d’uomo e senza l’aria di divertirsi troppo…Di fianco corre la strada nuova e
quando si incrocia con la vecchia aumentano i fastidi. Come già notato ieri il
fondo del vecchio tracciato è costellato di buche e sassi ma almeno è duro e
battuto da anni di passaggi e si riesce
a viaggiare quasi comodamente intorno ai 70/80 kmh ma quando per questioni
varie di orografia i lavori devono spostarsi proprio sulla vecchia strada i
caterpillar hanno spianato a parte un nuovo tracciato provvisorio dove viene
incanalato il traffico (quelle venti o trenta macchine al giorno nelle date di
bollino rosso…) e dove ovviamente il fondo, a volte di ghiaia, a volte di
sabbia, diventa morbido, la moto tende ad affondare e quindi scatta
l’insidia…Il nastro di asfalto nuovo di zecca o di terra tirata come un
biliardo che ci scorre spesso a fianco continua a ingolosirci e senza pensarci
un attimo di più cediamo alla tentazione, passare dal vecchio al nuovo percorso
e viceversa diventa quasi un gioco. Per entrare o uscire si devono individuare
i punti dove i mucchi di terra o di sabbia che vengono appositamente lasciati
per chiudere i varchi sono maggiormente vulnerabili, ma alle moto bastano poche
decine di centimetri per il passaggio e nonostante il carico anche una
montagnetta di mezzo metro non è un problema pur di riuscire a fare magari
qualche km senza doversi concentrare su ogni metro che la ruota anteriore deve
affrontare. Secondo una consecutio dei lavori che evidentemente non è
esclusivamente nostrana prima si stende l’asfalto poi ci si ricorda che mancano
le gallerie di scolo che vanno da una parte all’altra della strada ed ecco che
trasversalmente si taglia l’asfalto, si apre una trincea di un paio di metri di
profondità, si passano le tubazioni e poi si ricopre tutto. Le spaccature si
susseguono quasi con regolarità ogni due o tre km il che vuol dire che si deve
innanzitutto cercare di non cadere nelle trincee perché ci si farebbe malissimo
e quindi per evitare le trincee quando va bene si aggirano seguendo i percorsi
dei camion del cantiere ma quando va
male si fa dietro front fino a dove si
può rientrare sulla strada vecchia, superare l’ostacolo e cercare di rientrare al
primo varco possibile. Di tanto in tanto incrociamo qualche operaio che invece
di coprirci di insulti per aver ignorato i divieti ci saluta calorosamente e
anzi ci ferma per darci consigli su dove e come possiamo meglio sfruttare
l’alternativa. Finiscono i 170 km e arriviamo a Tres Lagos, finiscono i
cantieri e gli sterrati e ricomincia l’asfalto ma anche il giorno sta finendo,
lentamente come si conviene a queste latitudini ma sta finendo. Il sole lascia ancora
qualche barlume di luce ma il suo calore è decisamente un ricordo, anzi, dopo
una mezzora arriviamo sulle sponde del lago Viedma, sulla sponda opposta, ad
una settantina di km di distanza, incombono le cime della Cordigliera, vette di
cinquebarraseimila metri fra le quali spicca il profilo del leggendario Fitz
Roy e da dove soffia un vento gelido che ci arriva addosso neanche fossimo
vicino all’Antartide, che per inciso non è più distante di un paio di migliaia
di km in linea d’aria da dove ci troviamo! Perdiamo Lucho che si è fermato per
buttarsi addosso un paio di maglie in più, ci mette una ventina di minuti poi ci
raggiunge, durante le ultime decine di km passiamo dal tramonto al buio totale
fino a quando finalmente arriviamo a El Calafate. Non credo che la temperatura
superi i dieci gradi. Ci aspetta un ostello, una memorabile carne alla griglia
nel migliore ristorante della città, più che altro nell’ultimo ristorante
ancora aperto…e una bottiglia di vino rosso argentino, per chiudere la giornata
non trovo miglior commento delle parole di Pablo al primo brindisi: “ Hoy fuè
un dia!” Non credo ci sia bisogno di traduzione..