sabato 31 dicembre 2011

indovinate...


Costa Rica verso Panama


e se dico che piove ...piove!


Costa Rica

Da S.Jorge al confine con il Costa Rica ci sono solo una quarantina di km, per uscire dal Nicaragua c'è una sfilza di timbri avanti e indietro per gli uffici, mi si appiccica dietro un ragazzino e alla fine gli allungo un pò di spiccioli se non altro per la costanza che ha dimostrato. Il confine è il solito inferno di gente che va avanti e indietro, di gente che sta ferma, di gente che vende, che compra, che mangia, che beve, che fa code e il tutto in un pantano indescrivibile. Un pò di coda all'immigrazione per entrare in Costa Rica poi il solito permesso di importazione per la moto in dogana, quando ho finito trovo Jarozlaw, e se vi ricordate dalle prime puntate la teoria delle jzw nei nomi avete già capito che è polacco, infatti è polacco ma da sette anni vive negli States dove fa qualcosa tipo il grafico pubblicitario, anzi faceva perchè, nonostante abbia molto meno di cinquant'anni e quindi ancora non in età critica, ha mollato tutto e anche lui si è preso qualche mese di pausa dalla solita vita, forse anche un pò più di qualche mese..., e sta andando verso il Sudamerica. Lo accompagno negli ultimi uffici che già conosco poi ci mettiamo in strada assieme verso S. Josè, la capitale. Dopo un centinaio di km ci fermiamo a mangiare, anche lui ha incontrato altra gente che sta scendendo, fra l'altro pare che Andrè, lo svizzero che avevo conosciuto partendo da Antigua in Guatemala abbia avuto un probleme con un cane randagio nel Salvador e abbia fatto un pò di danni alla moto ma forse riesce a rimettersi in strada. Ripartiamo e mi metto davanti io, un pò di traffico, qualche cantiere e qualche coda poi comincia a piovere, prima di fermarmi per cambiarmi aspetto di vedere come gira il tempo che  gira decisamente male, il cielo è sempre più nero e la pioggia diventa un acquazzone tropicale, gli scoli a fianco della strada sono dei veri e propri fiumi di acqua e fango, quando mi fermo Jarozlaw non c'è più, probabilmente si è fermato prima, mi cambio, aspetto una ventina di minuti poi riparto. Per S. Josè prendo la strada vecchia delle montagne, nonostante non smetta di piovere i panorami sono più interessanti e quasi non c'è traffico, infatti era stata chiusa per frane fino a ieri. La pioggia non molla fino a quando arrivo la sera in città. E' tempo di fare un pò di manutenzione quindi approfitto della concessionaria locale per farmi dare un'occhiata alle valvole e alla carburazione, mentre aspetto conosco il presidente del motoclub BMW del Costa Rica, quattro chiacchere, scambio di indirizzi e foto, i lavori finiscono tardi nel pomeriggio per cui mi fermo un'altra notte prima di partire verso Panama.
Parto al mattino senza alcuna idea di dove posso arrivare, il confine con Panama è famoso per il tempo che si perde per far registrare la moto negli uffici poi la questione dei km qui, ma credo che anche in futuro non cambierà affatto, è piuttosto particolare. Il concetto di distanza non è infatti ancora pervenuto e tutto si misura in tempi di percorrenza. Provare a chiedere quanto manca la risposta è un'ora, un ora e mezza dipende...si, ma in km più o meno?  sorrisone un pò di compatimento come aver chiesto i nomi dei sette re di Roma poi : ahi senor...non si sa... Quindi si va a naso. S.Josè è nel valle central, riprendo la strada verso ovest e quando arrivo sul Pacifico ricomincia a piovere, passo  Jaco con il cielo  grigio  le nuvole  basse che sembra essere a novembre in Carnia, scendendo verso Quepos e Dominical mi imbatto anche in un paio di manifestazioni di taxisti che procedono incolonnati su due o tre file, riesco a sgattaiolare fuori e li passo, ogni tanto una schiarita ogni tanto un'altra buttata di pioggia, i resort e gli alberghi di italiani, gringhi,olandesi e tutto il resto del mondo che sono venuti qui a cercare la terra promessa cominciano a rarefarsi e la natura torna in mano ai pochi che coltivano banane o canna, per il resto jungla e spiagge. Arrivo al confine e stavolta opto per una guida. Ci sono un paio di loro che mi marcano stretto, prima mi chiedono di dargli quello che voglio, non se ne parla,prima ci accordiamo poi si fa il lavoro,la richiesta è venti usd, scende a dieci, offro cinque e uno accetta, alla fine la faccenda dura meno di un ora contro le tre o quattro temute, chiedo al ragazzino se non ha di meglio da fare che stare tutto il giorno a lottare per catturare un viaggiatore ma così riesce a fare anche 50 dollari al giorno, a muovere terra nei campi forse arriverebbe a cinque quindi non ho molto da contestargli, alla fine mi chiede altri cinque per l'impiegato che ha fatto passare avanti il mio passaporto,  vero o meno che sia glieli do, mi fa  fare una telefonata e in meno di un ora sono a David a bere un paio di birre con Marco, il guru dell'officina KTM di Udine e il suo amico Paolo da un paio di settimane in giro per spiagge, villaggi e foreste di Panama.

lunedì 26 dicembre 2011

lago managua...sopra livello...

nel 150 enario...

fra granada e il lago nicaragua

dario, sullo sfondo i vulcnai dell'isola ometepe

moto e camion di banane

via dall'honduras

Robert vive in un quartiere tranquillo di La Ceiba ma alle tre e mezza, un orario che esiste solo per ordinare un giro di birre e poi forse andare a dormire oppure per riempire una parte inutile del quadrante di un orologio, ecco che inizia un concerto di galli che ti sembra di essere il sabato sera a bere un aperitivo fuori da un locale fashion in centro, si mettessero d'accordo un poco ma sembra lo facciano apposta, parte uno poi tutti gli altri assieme, quando sembra che si siano sfogati e ti concedano quel tanto che basta per riuscire a riassopirti ecco che uno riparte, ancora un pò niente poi un'altro, subito dopo un altro ancora e via di nuovo tutti insieme che andresti fuori a tirargli il collo a tutti, non si può fare perchè come detto qui tengono il fucile a pompa sul comodino per cui ti rassegni e alle cinque e mezzo siamo tutti in piedi a fare colazione, anticipo tutte le operazioni del mattino e alle sette sono già in sella. La giornata di sole ce la siamo giocata in cantiere, il cielo è grigio e comincia a piovigginare ma anche qui siamo rassegnati. Rinavigo in mezzo al mare di ananas, e dalle parti di S.Pedro Sula prendo lo stradone verso Tegucigalpa, la capitale. Si torna a salire e si viaggia fra i 700 e i 1500 metri, il panorama ricorda ovviamente il Guatemala, boschi di conifere con sottobosco di palme, valli ripide e baracche abbarbicate sulle pareti, la Panamericana è uno stradone a quattro corsie ben asfaltato e piacevole, arrivando verso la capitale cominciano le buche e i soliti tombini senza coperchio, uno dei pericoli maggiori che si possono incontrare. Per entrare in Nicaragua mi devo difendere come al solito dall'assalto degli assicuratori e degli helpers (come li chiamano i gringos) che in spagnolo si fanno chiamare "guide, in pratica un insieme di umanità varia che si offre per accompagnarti e guidarti per i vari uffici immigrazione e dogana ecc. in cambio di una mancia che all'inizio parte da un paio di decine di dollari e finisce con quello che vuoi tu. Un pò di spagnolo e la gentilezza degli ufficiali di frontiera di solito rende assolutamente inutile la loro presenza.Il Nicaragua negli ultimi anni ha sofferto tre grandi tragedie che la hanno fortemente segnata; la rivoluzione sandinista che comunque secondo me ha lasciato in eredità una coscienza sociale che non si percepisce in altre repubbliche centroamericane, l'uragano Mitch che l'ha devastata e la visita del Papa ( e questa so già che il giornale non me la passa...:)) La zona montagnosa dalla quale sto entrando comunque è una delle più belle, la strada è tenuta perfettamente con i contributi delle grandi compagnie bananiere che la sfruttano per i loro trasporti, mi fermo a dormire ad Estelì, la capitale del tabacco, e passo vicino a Matagalpa, la zona del caffè. Il giorno dopo torno in pianura e mi fermo per un paio di ore a Granada, antica ed affascinante città coloniale, vero gioiello del Nicaragua, altre strade a scacchiera, case basse ordinate spesso di forte personalià, atmosfera un pò alternativa un pò impegnata un pò turistica un pò no e gironzolando becco la casa con targa dove dormì Garibaldi. Foto di rito fra i sorrisi dei residenti, un panino e per strade di campagna in mezzo agli alberi torno a raggiungere e riprendo la Panamericana, lascio a destra il Lago Managua e Managua stessa e sulla sinistra dopo un pò comincia a scorrere e non finisce più di scorrere il lago Nicaragua, anzi, il lago sta fermo e sono io che scorro. Arrivo al villaggio di S. Jorge, prossima tappa, che è il punto di riferimento per raggiungere in traghetto l'isola di Ometepe, l'isola è formata da due vulcani, è la più grande al mondo sopra un lago e, tanto per darvi un 'idea della grandezza del lago è più grande dell'isola d'Elba. A S. Jorge vivono un paio di italiani amici di Ruggero, mentre mi sto orientando, e non ci vuole molto perchè S.Jorge è quattro case e due alberghi Dario mi becca la targa italiana, si avvicina e così ci conosciamo. Lui è di Brescia e una decina di anni fa si è fatto dall'Alaska alla Terra del Fuoco con gli autobus, poi, vuoi per un motivo vuoi per un'altro, diciamo più per uno che per l'altro, decidete voi quale.... ha scelto il lago, no, non è quello il motivo... e lì si è fermato, ha scritto un libro " Da capo a capo" che si trova ancora su internet e gestisce un ristorantino sulla riva dove partono i traghetti per l'isola. Chiacchera che ti chiacchera scopro che non è il giorno che pensavo ma il giorno prima, spesso mi capita di non sapere nemmeno che mese sia ... quindi sono in anticipo rispetto a quello che pensavo e decido di fermarmi una notte in più per fare un giro sull'isola. Prendo il traghetto presto e cerco di fare il giro  come consigliato, la strada pavimentata finisce dopo qualche km , secondo Dario non dovrebbe essere  male ma non ha tenuto conto delle ultime piogge e mi sembra di guidare nel letto di un torrente, per non disintegrare la moto e le mie palle rinuncio e mi accontento della trentina di km asfaltati che comunque sono sufficienti per entrare nell'atmosfera un pò sonnolenta e tranquilla dell'isola. Per rientrare prima del previsto ci sarebbe una lancia che parte fra poco , la proposta è di spingere la moto lungo un asse di legno fino sul tetto della barca ad un metro e mezzo di altezza dal molo, solo il pensiero mi fa inorridire per cui al volo riesco a raggiungere un altro porto dove fra dieci minuti parte il traghetto grande che riporta a terra i camion che portano le banane, faccio la traversata in mezzo ai trasportatori ed ai moscerini ma arriviamo indenni io e la moto, ultima sera e ultimo pescetto nel ristorante di Dario, domani Costa Rica.

venerdì 23 dicembre 2011

si asciuga e si fa un pò di ordine


beh...in honduras le marine sono un pò così...


gli interni un pò si salvano

robert e non la sua nuca


gli slanci però sono di classe...


Robert e altro

Robert è un'altro fulminato non sulla via di Damasco come vuole la leggenda ma sulla via dei cinquant'anni, età piuttosto critica, e io lo posso dire perchè lo so...! Tedesco ma meno di quello che ci si aspetti, scarica nell'ordine: un'azienda di protesi ortopediche esterne, una moglie, due figli ultraventenni e quindi vaccinati e garantiti e si inventa delle operazioni di recupero, uso e successiva vendita di barche a vela d'epoca in legno.
Questa è la seconda e ovviamente devo vederla. Mi sveglio non so nemmeno che ora fosse tanto era presto per prendere il primo catamarano per la terraferma, appena usciamo dal porto le onde lasciate dal maltempo dei giorni precedenti cominciano a giocare e buona parte dei passeggeri locali mi confermano l'impressione dell'andata che gli Honduregni non sono quel che si dice un popolo di navigatori, almeno tre dell'equipaggio sono impegnati a dispensare sorrisi ma soprattutto salviette e sacchetti di plastica scegliendo fra le faccette più pallide che vedono in giro. Arrivo al porto, spazzo via tre giorni di ragnatele e di foglie dalla moto, carico e arrivo al cantiere dove mi aspetta Robert. Nel cantiere c'è On Aire, o meglio quello che ne è rimasto, chiamarla barca in questo momento è come dare della principessa alla Mussolini, non è appropriato..., il guscio in legno è stato sverniciato del tutto, alcune piccole parti sono marcite ma Robert è assolutamente sereno e fiducioso, gli interni sono stati ovviamente svuotati e rimangono i divisori originali, tutti i tappi in legno che coprono le viti che fissano il fasciame allo scheletro sono già stati reincollati dal precedente proprietario ma con un prodotto non compatibile per cui bisogna toglierli unoperuno....ripulirli dal vecchio prodotto...controllare il serraggio della vite sottostante e reincollare il tappo. Tante viti per tot metri di lunghezza per tot liste di fasciame per due, perchè la barca è uguale di qua e di là...fa circa 5800 tappi, un lavoro che al mondo  possono fare solo un tedesco, un giapponese e un cinese, il cinese per soldi (pochi) un giapponese per soldi (di più) un tedesco per passione. Poi naturalmente c'è tutto il resto ma come dicevo Robert, ribadisco, è assolutamente fiducioso e sereno, non solo, ma, e qui torna il tedesco, ha già programmato i successivi quattro anni di cui uno e mezzo per terminare il restauro e poi tutte le successive tappe del giro del mondo che riporterà On Aire nel Mediterraneo per essere venduta. Anche lui un bel caratterino, non c'è che dire! Rimango tutta la giornata in cantiere e approfitto della prima giornata di sole per buttare all'aria le valigie e far asciugare tutto, faccio un pò di manutenzione alla motoretta e cambio il cavo della frizione riparato con uno nuovo,sostituisco le pastiglie dei freni, un paio di controlli poi mi fermo a dormire da lui e c'è anche Hans, vi lascio intuire le sue origini..., che ci prepara una bella zuppa di lenticchie e altri materiali strani garantita come la faceva sua nonna annaffiata da ripetuti giri di cuba libre. Ma non credo però che sua nonna la mangiasse annaffiandola con cuba libre... Hans è stato campione di regolarità ( l'attuale enduro) negli anni settanta, chiusa la carriera ha pensato di fare un giro in moto dal Texas alla Terra del Fuoco, ci ha messo circa un anno per arrivare  in Honduras e riflettendoci un attimo ha pensato che continuando così per l'Argentina forse non gli bastava il resto della vita per cui mentre stava aspettando la nave per tornare in Europa qualcuno gli ha detto:. " se devi aspettare due settimane prima che la nave parta invece di stare qui a La Ceiba che è una merda perchè non vai a vedere Guanaja che è qua di fronte?" Roatan è la più grande,verso ovest cioè verso la terraferma c'è l'isola di Utila e verso Est cioè verso l'Atlantico c'è Guanaja, venti km per cinque di verde palme comprese con davanti verso il reef un piattone di mare lungo otto km e profondo venti metri, il sogno di ogni sub, Hans è andato a vedere Guanaja e non si è più mosso,  adesso ha una fattoria, sistema le attrezzature dei sub che subbano lì intorno, fa le pizze e vende le birre alle barche che ormeggiano nella baia davanti a casa e adesso che suo figlio è grande e ce la farebbe a tirare avanti la baracca da solo per un pò sta pensando di rimettersi in sella e arrivare in Argentina per finire quel giro.Sessant'anni suonati che valgono una profonda riflessione alla quale vi lascio...!

sabato 17 dicembre 2011


i tre pappagalli


una specie di coniglio


il campo di pallone dei Maya


lauro's hotel a copan con lauro,omaggio ad un'altro amico lauro...:)


tanto per dare un'idea dell'atmosfera

Visita dunque alle rovine, non siamo in molti, un paio di guide, quelli della sorveglianza, quelli dei souvenir, tre pappagalli che sorvegliano l'entrata, una specie di coniglio che scorrazza per i vialetti e un turista pagante, io. Poi durante la mattinata si aggiungeranno un paio di coppie ma l'incasso si chiude lì...bassa stagione!
Nel pomeriggio rientro al villaggio, fuori dalla chiesa nella piazza centrale un bel gruppo aspetta fuori dalla chiesa, poco dopo parte un corteo con la bara sul cassone del pick up, a seguire la banda con le trombe e le chitarre e buona parte del villaggio. Molto coreografico ma non molto allegro, un paio di notti fa un paio di ventenni grazie a qualche birra di troppo hanno litigato e si sono sparati, ieri avevano seppellito l'altro. Oltre che ai coltellacci già dal Guatemala bisogna abituarsi anche ai fucili a pompa che qui imbracciano come se portassero il cane a spasso. I negozi un pò più grandicelli e gli uffici ne hanno uno sulla porta, le banche tre di cui uno anche con il metal detector che ti scannerizza prima di farti entrare anche se sei in costume da bagno, i negozi che non se lo possono permettere, se sono magari un pò fuori mano, cioè tutti quelli che non sono intorno alla piazza centrale, hanno le inferriate che separano il banco di vendita dalla zona pubblica, ma siamo in una zona poco sicura? ...nono...ma non si sa mai, meglio prevenire, ti rispondono sorridendo. Sarà...! La prossima tappa è Roatan, che non c'entra niente con i Maya o altro ma è un isola paradiso dei caraibi, che nella stagione delle piogge dice poco, ma a Roatan ci vive Ruggero, antico compagno di una scorribanda motociclistica postsovietica, scorribanda che evidentemente ha lasciato il segno visto che, finito il viaggio in Russia, ha comprato un catamarano, lo ha spedito in Nicaragua e ci si è trasferito. Non riuscendo, come si dice, a sbarcarci il lunario si è autoimbarcato lui sul catamarano, ha fatto rotta a sud, poi è riuscito ad infilarsi nel canale di Panama ed a sbucare nel mar dei Caraibi, ha fatto rotta verso nord e, senza troppi danni ha sbattuto contro l'isola dove finalmente, nonostante un pò di nostalgia di tagli, taglietti ed osterie, tira avanti la carretta, per non dire la barchetta, spennando i turisti di passaggio. Ovviamente non si può passare per il Centroamerica senza un saluto quindi faccio rotta verso La Ceiba a caccia di un traghetto per l'isola. I primi cento km per scendere dalle montagne , il tempo è sempre incerto con qualche sprazzo di cielo che potrebbe far ben sperare, taglio fuori S. Pedro Sula, seconda città dell' Honduras per importanza e, si dice, terza città  più pericolosa al mondo, mi becco un paio di aquazzoni e prima di arrivare a La Ceiba passo attraverso una spianata di coltivazioni di ananas. Per chilometri, a perdita d'occhio, ci sono file di piante alte circa un metro perfettamente allineate e intervallate dai vialetti di servizio, la strada è un nastro di asfalto in mezzo ad un mare verde leggermente ondulato che ti sembra di navigarci in mezzo con la moto. Sotto il solito aquazzone delle quattro arrivo al molo, il mare è mosso e la capitaneria non dà l'ok per la partenza, forse domani. La Ceiba non è S. Pedro ma la prospettiva di passarci la notte non è esaltante però non ci sono alternative, vado a caccia di un albergo e mentre ne sto studiando uno da fuori conosco Robert, anzi più che altro mi conosce lui visto che mi arriva vicino e comincia a parlarmi, sono stanco quindi nervoso e decisamente deluso quindi ancora più nervoso e questo qui che mi arriva da dietro e comincia a parlarmi  in inglese e a dirmi quello che devo fare mi fa girare un pò le balle, comincio a chiedergli chièechinonèecosacifàlì poi pian piano mi rilasso e comincio ad ascoltarlo. Questo albergo non è male, fino a lì la strada è tranquilla ma non andare oltre, l'altro anche va bene ma la zona è peggiore ecc. Faccio un giro finchè ne scelgo uno con un buon parcheggio, durante la doccia mi telefona Robert dalla reception per andare a bere una birra, ok, siamo lui, io e una sua specie di fidanzata locale. Fra una birra e un pesce e un altra birra e probabilmente una terza birra io gli racconto del mio viaggio e lui mi racconta la sua vita che però io vi racconto un'altra volta, vi anticipo solo che c'è di mezzo una barca a vela di legno disegnata nel 1940 dallo studio Sparkman e Stephens e costruita da Herreshoff che ai suoi tempi con altre barche ha vinto qualche Coppa America, insomma come avere per le mani una Ferrari d'epoca.
Comunque il mare la mattina dopo si calma un pò e il ferry parte, portare la moto costa una cifra e non ne vale la pena per cui la mollo nel parcheggio del porto, all'aperto ma almeno sotto buona custodia armata. Mi fermo tre giorni sull'isola ma il tempo è vergognosamente brutto, per tutto il we quasi non smette di piovere, per fare rustico e per fare Caraibi le strade che di solito sono di sabbia con i buchi e di terra con i buchi adesso sono di sabbia con le pozzanghere e di fango con le pozzanghere ma sono in viaggio da quasi tre mesi e tre giorni di pastasciutte e pizze insieme ad una faccia amica ti fanno sentire un pò a casa e dimenticare il brutto tempo. Le previsioni minacciano un uragano, e ci mancava solo quello..., per cui lascio l'isola prima di rimanerci bloccato, sono rimasto in contatto con Robert e quando la mattina del lunedì sbarco dal traghetto rimonto in moto e lo raggiungo al cantiere, ma questa è la prossima puntata!

mercoledì 14 dicembre 2011

 e per fortuna era in discesa...


parcheggio sicuro


antigua


Antigua

Antigua è la classica città coloniale, il Parque Central che è la solita piazzona con alberi ed aiuole punto di incontro e riferimento per tutti con i palazzi simbolo dei vari poteri, politico, ecclesiastico e militare, quindi il palazzo del governo con il municipio, la sede del comando militare e l'immancabile basilica. Non vi sto ad annoiare con pistolotti eruditi raccontandovi che per molti anni fu sede della capitale poi spostata a Città Guatemala quando fu quasi distrutta dall'ennesimo terremoto ma un minimo di informazione ci vuole. L'atmosfera è assolutamente seducente, la struttura delle vie è la solita dove le calli sono perpendicolari alle avenide, tutte rigorosamente in ciottoli, molto romantico ma girarci in moto ti sfondi le sospensioni e non solo quelle..., le case sono basse ed esternamente si gioca solo con i disegni dei serramenti, le strutture delle inferriate in ferro battuto e i colori delle facciate che a volte sono anche piuttosto inusuali. L'anima della città è nei patii e nei cortili interni, dietro la facciata le camere si sviluppano intorno ad uno o più cortili con colonnati letteralmente soffocati da piante e fiori che riescono ad isolarti acusticamente e psicologicamente dal mondo esterno. Non ci sono neon o insegne luminose, i negozi e i locali sono segnalati solo da discrete targhe appese sopra la porta o dipinte sugli stipiti, l'illuminazione pubblica è bassa e discreta, quasi silenziosa, quasi fosse a lume di candela.
Di giorno pochi turisti e qualche viaggiatore dall'atteggiamento più impegnato si mescolano ai molti giovani dall'aria molto alternativa ma soprattutto ai colori dei vestiti e dei prodotti offerti dalle donne che come formiche vagano per le strade a caccia di una vendita. I due giorni previsti diventano tre, devo far asciugare i vestiti ma soprattutto devo far passare una mezza influenza che mi sta cadendo addosso dopo le lavate prese arrivando dal Messico, un pò di sole aiuterebbe ma ancora non si fa vedere, il cielo continua ad essere coperto  e le montagne che si dice circondino la città continuano ad essere una leggenda, piove ogni giorno almeno cinque o sei volte, sui giornali si cominciano a vedere le conseguenze della depressione tropicale passata nei giorni precedenti, frane, fiumi straripati, ponti crollati, strade interrotte, regioni allagate, le solite polemiche politiche che se non'altro ti fanno sentire un pò a casa...
ma purtroppo anche una trentina di morti che nei giorni successivi diventeranno oltre cinquanta.
L'ultimo giorno piove quasi sempre e lo passo praticamente in albergo, riposo e qualche cocktail di aspirine e porcherie varie ma la mattina dopo va già meglio e mi rimetto in strada. Uscendo dalla città attraverso il Parque, sei moto son in fila davanti al municipio, mi fermo e comincio a chiaccherare con Andrè, lui è svizzero ma ci sono un inglese che viaggia con una croata, un'altro svizzero e qualche altra nazionalità che non ricordo, tutti in viaggio verso Ushuaia, mi pare che la faccenda si stia facendo un pò troppo affollata per i miei gusti, pare che a Natale ci sia un'incontro di motociclisti a Cuzco in Perù, ci si scambia i riferimenti, saluti e si parte Il cielo è coperto, nemmeno a dirlo, ma le nuvole sono alte, il che sembra bene ma in effetti qui non vuol dire niente se non che invece di piovere adesso pioverà più tardi ed infatti dopo una trentina di km arrivando a Guatemala City mi devo fermare per mettere l'antipioggia. Senza perdere troppo tempo ma soprattutto senza perdermi io riesco ad attraversarla, la città è seduta su un altipiano, uscendo le pareti che la sostengono si spaccano con profonde e strette fenditure dove i quartieri più poveri appendono le loro case di mattoni e lamiere come fossero un vespaio abbarbicato sopra una roccia. Passata la città  prendo la strada che porta verso l'Atlantico e ricomincia la teoria di frane e di cedimenti e di ecc.ecc., smette però di piovere e sembra quasi di vedere un pò di azzurro, mi tolgo la tuta da palombaro e comincio ad asciugarmi. Per arrivare al confine di el Florido e passare in Honduras però si torna verso le montagne, la strada si restringe e ricomincia ad arrampicarsi in mezzo alle valli, altre frane e altri passaggi difficili, a pochi km dalla frontiera stanno liberando la strada da un ondata di fango fresca fresca appena scivolata giù dalla collina e lunga un paio di centinaia di metri. Insieme a trattori, bus, camioncini, mototaxi, biciclette e pedoni aspettiamo che la ruspa apra un passaggio,  quando ha finito scendo a passo d'uomo navigando su un fondo di dieci cm di fango con i piedi a terra che scivolano per mantenere l'equilibrio della moto, passo anche questa e con l'aspetto di un rugbista arrivo finalmente al confine. Per uscire dal guatemala tutto bene, per entrare in Honduras invece si paga dazio! La storia che si inventa il doganiere è che causa maltempo i sistemi informatici non funzionano, nonsisà quando riprenderanno e quindi la pratica va fatta a mano e guardaunpò a mano costa 40 dollari...provo a buttarla lì che naturalmente mi rilascia una ricevuta per il giornale per cui lavoro...non se ne parla nemmeno, non è previsto! Provo che in Honduras conosco un avvocato e potrei consultarmi con lui ma anche così non si impressiona quindi visto che sono le cinque del pomeriggio, è quasi buio e sono di nuovo bagnato perchè naturalmente sta piovendo decido di collaborare alle spese della sua famiglia e mollo i quaranta, il suo sorrisone quando alla fine delle pratiche si mette in tasca il mazzetto, anzi la mazzetta, non mi consola ma mi convince definitivamente di aver aggiunto una voce al bilancio di casa! Comunque vabbè, sisà che può succedere, girano un pò le balle ma non è da considerarsi un imprevisto, raccolgo le carte, rimonto in sella , qualche decina di km e raggiungo Copan. Alberghetto, doccia e cena meritata. Domani turismo!

mercoledì 7 dicembre 2011

verso le nuvole
sulla strada


sulle montagne

...e il tempo continua...

...a mettersi male, ha piovuto per quasi tutta la notte e al mattino il cielo è coperto, grigio e pesante, le previsioni danno pioggia per i dieci giorni successivi  e un qualunquesia lago sotto la pioggia è tutt'altro che attraente, i villaggi sono raggiungibili solo in barca ma con queste condizioni non ha senso fare il turista e altro la zona non offre, aspettare due giorni qui per andare a vedere il mercato di Chichicastenango potrebbe funzionare solo in compagnia di Pamela Anderson e del suo quaderno di appunti ( che per chi non è preparato era la tettona bionda di Baywatch, in suo onore ribattezzato Beibocc...) per cui carico la moto e parto verso Antigua. Continuo lungo la strada del lago e prima delle interruzioni la abbandono e comincio ad arrampicarmi per uscire dall'anello di montagne che circonda il lago. Il fondo è sconnesso e spesso coperto da uno strato di sottile limo o di fango, continuamente sono costretto a schivare frane, smottamenti, buche e tratti di strada crollati, con la pioggia la montagna si è sgretolata, sbriciolata o sciolta mostrando tutta la debolezza dell'opera dell'uomo. Ogni pochi km gli uomini dei campi cercano di liberarla con i mezzi a disposizione, se non ci sono carriole con i secchi, se non ci sono i secchi con i sacchi, con i machete riducono le grosse radici che sono rotolate sulla strada fino a quando riescono a spingerle sul ciglio, nessuno li paga e nessuno glielo impone ma la strada serve a tutti e a loro per primi, squadre di trenta, quaranta uomini ma ci sono anche ragazzini di otto, dieci anni che collaborano. Guidare non è facile, ogni tanto qualche centinaio di metri di strada sgombra per rilassarti poi di nuovo buche piene di acqua e fango, cerco di seguire i rivoli di acqua dove almeno l'asfalto è più pulito e meno viscido, così è per una quarantina di km fino a quando raggiungo la Panamericana che dovrebbe essere uno stradone di quattro corsie ma spesso è di due perchè anche qui la montagna è scesa a valle seppellendo metà carreggiata e costringendo il traffico a incanalarsi su quanto è rimasto libero, ogni tanto qualcuno si dimentica che il traffico corre nei due sensi sulla stessa carreggiata e usa la tua corsia per sorpassare oppure perchè gli è più simpatica, sarebbe pericolosetto ma basta farci l'abitudine, inutile sbracciarsi per farglielo capire, qui và così e bisogna abituarsi e farsi da parte. Dalle nostre parti quando nasce un bambino gli si regala una croce ( male! ) oppure un braccialettino oppure ultimamente un cellulare da settecento euro, da queste parti gli regalano un machete, sulle prime fa un certo effetto vedere la gente andare in giro con un coltellaccio da mezzo metro ma qui è un multiuso, serve per tagliare l'erba, la legna, per togliere la scorza alle noci di cocco e probabilmente anche per la manicure ma con il machete sembra tagliato anche il territorio, vallate strette e profonde si intersecano come spaccate dalla lama, la terra è scura e ruvida e contrasta con le curve morbide delle colline che ho lasciato in Messico. Arrivo ad Antigua, la vecchia capitale coloniale, non sta piovendo ma non mi illudo, giro un pò fino a quando trovo una sistemazione decente, ho qualche ora per fare un primo giro per la cittadina ma quando è ora di uscire per andare a cena arriva il solito diluvio e l'ambiente più a portata di mano, dove riesco ad arrivare senza lavarmi troppo, è un ristorante bavarese, e già mi viene da ridere... Dopo una porzione di leberkase( mi mancano i puntini sulla a per cui leggete ae contratto...) finisce a chiacchere con Klaus di Augsburg, più o meno la mia età, in giro per il mondo da vent'anni, un'ex moglie guatemalteca e tre figli dai 17 ai 21 anni. Mai mi sarei sognato comunque di passare una serata  a bere birra guatemalteca parlando in spagnolo con un tedesco!

domenica 4 dicembre 2011

al mercato...



e si vende un pò di tutto...

e questo è quello che sono riuscito a vedere del lago!

Guatemala

Huehuetenango, colazione e subito a caccia di un'assicurazione, dalla reception dell'albergo mi mandano in una palazzina rosa (!) ad un paio di quadre ( che sarebbero gli isolati ) di distanza, delle due compagnie nessuna assicura moto, cominciamo bene. Per dire la verità non sarebbe obbligatoria ma da queste parti è meglio non rischiare, se capita un incidente prima ti sbattono dentro poi si comincia a parlare, rientro in albergo e comincio a cercare su internet, trovo la compagnia che assicura moto, ha un paio di agenzie in città e una dovrebbe essere dalle parti dell'albergo, targhe con i nomi delle vie e numeri civici qui sono un sogno irrealizzabile, un pò si chiede un pò si intuisce un pò si và di culo, trovo la via, trovo l'intersezione ma del numero civico e dell'ufficio non se ne parla, mostro l'indirizzo ad un'addetto alla sicurezza di una banca ma mi guarda come se gli avessi chiesto i nomi dei sette re di Roma, passo avanti, entro in un'altra banca e un impiegato gentilissimo esce con me e comincia a chiedere, ritorniamo indietro e anche lui per esclusione arriva allo stesso ufficio difeso dall'esperto sui re di Roma, si indaga un pò di più e alla fine l'indirizzo è esattamente quello il che vuol dire che il famoso esperto non solo non sapeva i nomi dei sette re ma non sapeva nemmeno l'indirizzo del suo luogo di lavoro e men che meno che ufficio ci fosse dentro, glielo faccio notare ma il il suo sorriso è talmente disarmante che finisce a pacche sulle spalle.
Trovo l'ufficio, trovo la scrivania ma non fanno polizze per moto, faccio notare che sul sito la faccenda viene venduta in maniera differente, la ragazza insiste, io anche,un paio di telefonate e scopriamo che in effetti si potrebbe fare ma dovrei assicurare contemporaneamente almeno tre macchine, le tre macchine non ci sono e non ho tempo per comprarle quindi rinuncio, torno all'albergo, carico la moto e riparto.
Chiediqua chiedilà passando per un paio di viottoli improbabili finisco in un quartiere altrettanto improbabile ma sto uscendo dalla città e la direzione sembra quella giusta, trovo una pattuglia di poliziotti che mi confermano, mi arrampico sulle colline che la circondano poi continuo verso le montagne, c'è una strada non segnata sulle carte e nemmeno sul gps, un paio di chiazze di azzurro fanno sperare bene ma la speranza dura poco, il cielo si torna a chiudere e la coltre delle nuvole si ispessisce, in compenso viaggio praticamente da solo passando da un altipiano all'altro, ogni tanto un villaggio di poche case sgangherate, ogni tanto qualche buttata di pioggerellina e quando la strada si affianca alla montagna ritrovo i segni dell'alluvione, la montagna dove è stata tagliata per far passare la strada cerca di riprendersi le sue pendenze e io riprendo le gimcane in mezzo alle frane. Dopo qualche cento km e sotto la pioggia arrivo a Chichicastenango, alle porte della cittadina supero altri due nomadi in bicicletta,bagnati e stravolti stanno arrancando sulla salita, per solidarietà e per incoraggiamento li saluto e nonostante tutto rispondono con un sorriso. A Chichi, come la chiamano qua, c'è il mercato più famoso e forse il più grande del Centroamerica, tutte le donnette scendono dai villaggi delle montagne per vendere i loro prodotti e comprare quelli degli altri, e fin qui niente di nuovo, ma qui è talmente vasto che il risultato è un carnevale unico di colori, di suoni e di odori. Questo è almeno quanto si dice e quanto vorrei verificare solo che la sfiga regna sovrana come sempre, i giorni deputati sono il giovedì e la domenica e oggi naturalmente è venerdì, mi fermo a mangiare qualcosa e faccio comunque un giro per dare un'occhiata alla versione del giorno che dice ben poco. Continuo per il lago Atitlan che è ad una trentina di km, potrei fermarmi là un paio di giorni e ritornare la domenica per poi ripartire e scendere verso Antigua, la vecchia capitale del Guatemala. Sto viaggiando intorno ai duemila metri, il lago è profondamente incassato in mezzo alle montagne, la strada da cui sto arrivando sale un pò per affacciarsi su una bella distesa di ...nebbia, il lago è assolutamente invisibile, mi fermo al distributore del villaggio per chiedere le condizioni della strada che da qui parte e lo circonda ad anello, tutto intorno sulla riva ci sono una ventina di villaggi, tutti isolati, praticamente la strada è sommersa dalle frane, dal fango e dalle pietre, alcuni si raggiungono in barca, per alcuni si potrebbe arrivare scollinando da dietro ma ci sono deviazioni di almeno cinquanta km ed è quasi buio, nell'inesistente centro ci sarebbe un'albergo ma non lo voglio nemmeno vedere, bisogna raggiungere qualcosa sul lago dove trovare un pò di alberghi, l'unico pare essere Panajachel, forse in moto è raggiungibile, un collega di uno dei ragazzi con cui sto parlando stamattina è arrivato a lavorare in moto per cui probabilmente si passa, gli altri arrivano alla frana con i mototaxi, la attraversano a piedi e poi salgono sui bus che li aspettano dall'altra parte. Ci provo, scendendo la nebbia si dirada un pò e il lago comincia ad intravedersi, arrivo al punto critico, un masso grande come un monolocale è caduto sulla strada, un omino armato di martello pneumatico lo affronta sotto la pioggia, tutto intorno almeno una ventina di persone fanno finta di collaborare ma mi fanno anche cenno di aspettare, l'omino molla, arriva un piccolo escavatore che toglie un pò di macerie e apre un corridoio largo poco più di un metro, passa un ciclomotore poi a filo  fra il masso e il dirupo passo io, appena dopo la strettoia sono costretto a buttarmi sulla sinistra verso la montagna perchè sulla destra verso il lago metà della strada è sparita, piove ancora a dirotto ma  pochi km e finalmente arrivo al paese ma soprattutto al primo albergo, per domani  non si fanno programmi, vediamo il tempo come si mette....

giovedì 1 dicembre 2011

avviso a tutti i naviganti...

...nonostante manchi da un pò sono ancora vivo e il viaggio continua...
dopo cinque giorni di assenza dal web ho riaperto la casella di posta e l'ho trovata completamente vuota quindi oltre ad aver perso circa settecento mail archiviate negli anni mancano anche quelle inviatemi dal 26 al 29 novembre e ovviamente mai lette ...
a presto
rick

lunedì 14 novembre 2011

...tanto per dare l'idea...



...valigie stagne...?


un cielo promettente!


Verso il Guatemala

Le notizie sul tempo non sono confortanti, sono in contatto via mail con Franco che è già passato per Guatemala City e che è in contatto con due canadesi che lo precedono di un paio di giorni, tutto il Centroamerica è sott'acqua, anzi "soto aqua" come scrive nel suo slang italokrukko, il Guatemala è particolarmente colpito, la Panamericana pare sia interrotta, ovviamente qui l'unica cosa certa è il tasso di umidità...,il confine, che è a un paio di centinaia di km, pare sia chiuso, si parla di strade franate o, in alternativa, di frane sulle strade, il risultato non cambia ma rende bene l'idea. Dopo due notti a S. Cristòbal comunque decido di partire, inutile stare a sentire le mille voci che girano su strade, tempo e confini, si va avanti e vediamo cosa succede ma soprattutto cosa  troveremo. Inutile dire che la mattina quando parto sta piovendo, il colore del cielo passa dal grigio al grigio approfittando di tutte le sfumature del grigio e il colore del sole, ma soprattutto il calore del sole sono un lontano ricordo, nemmeno dopo due giorni l'attrezzatura da moto si è asciugata e anche tutti i vestiti sono umidi, le valigie dovrebbero essere stagne ma mi viene suggerita un'ottima definizione secondo la quale chiamasi "stagno" un qualsiasi contenitore che riesce a trattenere al suo interno tutto il liquido che è riuscito ad entrare.  La strada sale subito fino a duemila metri poi ci sono 150 km di altipiano, jungla e conifere si alternano a comporre un paesaggio dove è facile intuire con quante difficoltà l'uomo ne possa ricavare qualcosa. Mi fermo a bere un caffè a Comitàn, ultima città messicana  prima del confine, tre ragazzotti gironzolano intorno alla moto incuriositi dagli adesivi sulle valigie dove spicca l'assenza della bandiera messicana, si fanno quattro chiacchere sulle strade. Pare, sempre pare...,che la frontiera oggi sia aperta, fino a Huehuetenango si arriva, poi non si sa, inutile allungare di duecento km fino all'altra frontiera sul Pacifico perchè la situazione in Guatemala non cambia, si parla di trenta morti per l'alluvione, ma il bilancio è provvisorio. Paco, Luis ed Enrique mi dicono di aspettare nel parcheggio, partono a bordo di un'improbabile mezzo meccanico che solo con grande fiducia ed ottimismo si potrebbe definire automobile e dopo dieci minuti ritornano con l'adesivo della bandiera messicana, l'orgoglio con cui lo attaccano sulla valigia laterale della moto è quasi commovente, inutile dire che è un omaggio, un caloroso addio e riparto. Dimentichiamo la rigida atmosfera quasi asettica, rigida, controllata delle ex frontiere europee, qui è una bolgia infernale dove gli uffici doganali scompaiono inghiottiti dalle bancarelle e dai banchetti dei venditori ambulanti, centinaia di persone si muovono in continuazione in tutte le direzioni mescolandosi ai cambisti e alle guide che si propongono ,devo dire con molto rispetto e discrezione, per seguirti tra i vari uffici doganali, camioncini e microtaxi si incrociano come su una pista di autoscontro. La linea di confine è indistinguibile, prima di uscire dal Messico devo far timbrare il visto di uscita dall'immigrazione e soprattutto devo restituire il Permesso Temporaneo di Importazione della moto, conditio sine qua non per riavere indietro la caparra di duecento dollari che entrando mi hanno accreditato sulla carta di credito. Arrivando manco in pieno gli uffici, per dire la verità avevo avuto un sospetto su una palazzina intravista lungo la strada,  mi ero fermato a chedere ma una specie di divisa mi aveva fatto proseguire di tre km fino alla frontiera, arrivandoci rischio di finire lungo entrando in Guatemala, chiedo ad un'altra divisa che ovviamente mi fa tornare indietro alla palazzina, il che dimostra quanto valgano spesso le proprie intuizioni..., dove trovo l'omino giusto che mi fotografa la moto e mi annulla il permesso certificando l'uscita dallo Stato. Altro passaggio all'immigrazione per annullare anche il visto e riparto per i soliti tre km che per tre volte sono già diventati nove! Stavolta attraverso a pieno diritto la linea invisibile del confine, un metro dopo sono bloccato con la moto avvolta da una nuvola di nonvogliosaperecosasia. Scientificamente dovrebbe trattarsi di zooprofilassi, meno scientificamente l'operazione, chiamarla disinfestazione mi pare troppo generoso, dovrebbe fare in modo che ognuno si tenga le proprie bestie con le proprie malattie, nella pratica, oltre a dovergli dare un paio di dollari per la fumigazione devo anche cercare di convincere l'addetto a non insistere troppo con l'erogatore sulle  valigie "stagne" con dentro i miei vestiti. L'immigrazione la sbrigo in un paio di minuti, il solito permesso di importazione è anche questione di una mezzoretta ma per completarlo va pagata la pratica, l'uomo della dogana mi fornisce di modulo e mi indica la porta di una filialina di banca lì a fianco, busso perchè la porta è chiusa e nello spiraglio mi appare Rambo con giubbotto antiproiettile, appesi alla cintura pistolone da caccia grossa, sfilza di caricatori, manganello tipo III° Reparto Celere di Padova versione anni di piombo e in mano fucile a pompa con calcio segato, senza  farmi entrare e senza dire una parola mi prende di mano modulo e soldi e riappare dopo un paio di minuti con il pagamento effettuato. Gran bella presentazione!
La strada segue per una cinquantina di km una lunga valle stretta e alta, quando non è sprofondata nel fiume sottostante è più  una gimcana fra le frane, gli smottamenti e le pietre cadute sulla carreggiata. Il paesaggio si incupisce, forse la valle stretta o forse il territorio vulcanico più scuro rendono il cielo ancora più grigio, ogni quindiciventi km una sciacquata di pioggia dà un tocco di allegria alla festa ma l'impatto forte lo dà il senso di povertà che si respira da subito. Gli stracci indossati dai bambini che giocano nelle pozze di fango ai lati della strada, le baracche di fango e lamiera dei villaggi, l'immondizia abbandonata ai lati della strada, le carcasse di auto spolpate e abbandonate ovunque insieme alle puzzolenti nuvole di fumo nero dei vecchi "chicken bus"che oscurano e avvelenano l'aria sono tutti indicatori di un livello economico e sociale ben più basso di quello che ho appena lasciato in Messico, e non è che si navigasse sempre nell'oro nemmeno là....
Nel tardo pomeriggio raggiungo e pernotto a Huehuetenango, solo una tappa sulla strada per Chichicastenango, per il lago Atitlan, per Antigua, per i veri gioielli del Guatemala! 

martedì 8 novembre 2011

....il crocifisso non sono riuscito a toglierlo...


San Cristòbal de las Casas

Metà pomeriggio arrivo a San Cristòbal con l'accento sulla "o" e non sulla "i" e nemmeno sulla "a". Il tempo si è decisamente messo al brutto. Con Franco ci  siamo arrampicati su per le montagne sotto la pioggia, abbiamo scollinato sotto la pioggia, ci siamo salutati sotto la pioggia e adesso che sto entrando in città...indovinate un pò?...sta piovendo! San Cristòbal è una vecchia cittadina coloniale circondata dalle montagne, informazione che arriva dalla guida in quanto siamo, io e la cittadina, soffocati dalle nuvole e più in alto di qualche decina di metri non si vede un tubo, passi per il tubo ma non si vede nemmeno il cielo e menchemeno il sole o le montagne o che altro, potremmo essere in mezzo ad un lago o in cima ad una collina o su una spiaggia che sarebbe lo stesso per cui diamo per buona l'informazione della guida! Abbiamo detto coloniale quindi strade perpendicolari, fondo in ciottoli che vuol dire un inferno sia in moto che in macchina ma anche a piedi rischi la caviglia ad ogni passo quindi se vi capita di passarci  lasciate a casa il tacco dodici, piazza centrale che si chiama "parque central", e non fate l'errore di chiedere della "plaza central" perchè vi guarderanno con due occhi tipo " da dove cazzo arriva questo ma soprattutto dove cazzo è che vuole andare...?" dunque parque central con i palazzi importanti dell'amministrazione e la solita cattedrale che se ne potrebbe fare a meno ma che non può mancare!Tutto intorno case pluricentenarie ad un piano più o meno  conservate con giardino interno da urlo, colonnati, fontane, palme, fiori e frutta che ti viene voglia di piazzarti sopra un amaca e passarci le ore a rilassarti leggendo, scrivendo, ascoltando musica e magari facendo altre cose che non stiamo qui a specificare ;). Arrivo dicevo sotto la pioggia, la strada in leggera salita che va verso il parque è un fiume in piena, faccio comunque un giro di ambientamento intorno alla zona del centro finchè trovo un accomodamento per la notte in una pensione dentro una di queste vecchie case, la motoretta trova riparo sotto il portico, spargo in giro per il giardino coperto tutta l'attrezzatura bagnata sperando che si asciughi e vado a farmi un giro. L'atmosfera è accattivante, ristorantini di varia etnia, caffetterie raffinate, baretti con offerte musicali dal vivo fanno da scenografia ad un turismo meno sgargiante e meno chiassoso di quello che di solito infastidisce in giro per il mondo. Giovani backpackers, che sarebbero quelli con gli zaini un pò capelloni che a volte ti danno l'aria di essere un pò sporchi e puzzolenti e ogni tanto lo sono anche e lo dico perchè anch'io ho cominciato così qualche decennio fa..., dicevo giovani backpackers si mescolano a meno giovani ex backpackers che si credono ancora ventenni e vanno in giro per il Messico, ma anche per il resto del mondo, vestiti come se fossero nell cortile di un tempio nepalese ma soprattutto si mescolano con gli indios che colorano e animano le strade e la piazza, anzi il parque. Una delle attrazioni della zona è un canyon con un fiume e un giro in barca a mezzora di macchina ma il tempo non ispira per niente e di natura ne sto facendo indigestione, S. Cristòbal oltre che dalle montagne momentaneamente invisibili è circondata da 21 quartieri e da vari villaggi abitati dagli indigeni che ovviamente traggono vantaggi dal turismo della città, poco distante dal centro ci sono il mercato della frutta e il mercato dei prodotti artigianali dove vieni ubriacato dai colori, dai profumi e dall'andirivieni della gente che si muove per i banchi e per le baracche.
La nota dolente sono gli effetti collaterali del turismo, buono perchè con la conoscenza di situazioni sociali particolari e diciamo così "arretrate", ma non sono convinto che il termine sia quello giusto,arrivano forme di solidarietà e di conseguenza anche un pò di ricchezza, e anche qui il termine è esagerato..., ma meno buono quando trasforma  una donna di casa e madre di famiglia in una venditrice ambulante di pochi scrupoli che "alleva " i figli spingendoli su una strada che sembra più accattonaggio che commercio.
Quattro, forse cinque anni, non di più, basta saper camminare, reggere in mano un fazzolettino ricamato da chissachì e chiedere dieci pesos...cinque pesos...se ti fai commuovere e compri in meno di dieci secondi ne hai intorno altri cinque che pretendono il loro affare, se tieni duro e non compri l'offerta dell'oggetto diventa richiesta di elemosina.
Non cercano il tuo sguardo perchè denoterebbe un interesse e un attenzione per quello che stanno facendo che non ci può essere a quell'età che è evidentemente sbagliata, l' azione è compiuta quasi in trance, puoi fare qualsiasi domanda o dire qualsiasi cosa che la risposta è un mantra ossessivo...unpesounpesounpeso... ripetuta per dieci, venti, cento metri finchè qualcuno o qualcosa interviene e vieni sostituito.
Pare che butti molto anche la visita guidata ad alcuni villaggi con tanto di rituale magico o pseudotale e foto in posa agli indigeni, il tassista insiste per il giorno dopo e anche la ragazza della tintoria lo consiglia, ci rifletto su ma non per molto prima di rinunciare a quello che mi sembra più un giro allo zoo che non la soddisfazione di una lecita curiosità di viaggiatore. Tornerò a casa senza aver visto come vive una tribù di indigeni nella jungla e senza sapere a quante galline fanno la festa dentro un circolo di candele accese dentro una chiesa ma mi consolerà il pensiero di aver rispettato la dignità di qualcuno. La riflessione potrebbe essere molto articolata ma ci fermiamo qui, e io mi fermo a S.Cristòbal un'altro giorno a balinare in giro per le calli e i mercati schivando, non sempre con successo, i soliti settanta acquazzoni giornalieri.

sabato 5 novembre 2011

Franco



secondo Vargas la sala del bunga bunga


...c'ero anch'io...

Sono entrato nel Chiapas, prima delle montagne che lo caratterizzano attraverso le pianure inondate, la strada sottile corre per fortuna sopra un argine sopraelevato di un paio di metri ma tutto intorno strade,campi e coltivazioni sono sommersi, qualcuno è contento perchè la piena porterà a valle un pò di coccodrilli (va ben la solita rivalità di campanile fra quelli dell'interno e quelli della costa ma mandargli i coccodrilli non mi pare molto carino...)qualcun'altro parcheggia al sicuro la mietitrebbia e si adatta con i barchini a pescare nel cortile davanti a casa. Le colline anticipano le montagne tanto decantate e con le colline arriva Palenque, uno dei siti archeologici Maya "chenonpuoifareamenodivedere", il villaggio vive praticamente sulle spalle e alle spalle del sito archeologico, una decina di strade messe in croce ( nel vero senso della parola...) salgono e scendono dalla collina, quasi tutte le case sono a due piani fuorchè qualche orrore tipo minicondominio che entrerebbe a pieno merito nell'ignobile campionario prodotto dal boom edilizio del dopoguerra o del dopo terremoto, qui però non siamo nel regno di sua altezza onnipotente il Geometra ma siamo in Messico quindi la spiegazione è che chi ha progettato probabilmente si era fumato di tutto e chi ha approvato si era  fumato di più...
In cima alla collinetta c'è la piazza principale dove trovo alloggio, in un albergo, ovviamente, non su una panchina, non c'è un posto chiuso per la moto ma seguendo il consiglio dell'addetto alla reception  la parcheggio davanti all'entrata, anzi...praticamente nell'entrata anche se il passato rivoluzionario della regione ha lasciato in eredità una concentrazione tale di militari che la piazza sembra il cortile di una caserma. Considerata comunque la mia ormai radicata scarsa simpatia per le divise ancora devo capire se la cosa fosse rassicurante o meno!
Dopo la cena in piazza un rustico ma simpatico spettacolino  del gruppo folcloristico Chiapaneco di Palenque, i balletti si alternano con gli interventi del presentatore e del presidente dell'associazione il quale non disdegna un esibizione canora che dura fino alla terza canzone quando, dopo un paio di amnesie, abbandona  confessando di averne preparate solo due  per la serata, qualcuno direbbe" Il bello della diretta", però le ballerine non erano niente male...
Al mattino, di buon'ora come si conviene, vado alle rovine, il cielo è grigio e ogni tanto scarica una pioggerellina leggera, per fare pochi km prendo il piccolo bus locale, arrivando alla sbarra dell'ingresso conosco Franco, sembra italiano ma è svizzero, lo si riconosce dalla targa della moto e dall'accento crucco con cui lodevolmente ma con risultati discutibili cerca di parlare la lingua dei suoi genitori, è in giro da un anno circa, dopo Turchia, Pakistan, India, Nepal varieedeventuali, non mi ricordo tutto..., è sbarcato in Giappone, poi è volato in Canada e passando per l'Alaska anche lui scende verso la Terra del Fuoco. Dividiamo il costo della guida e passiamo la mattinata con Vargas che mescolando sapientemente un pò di conoscenza e un pò di leggenda ci dà la sua incontrovertibile versione dei fatti sulla storia dei Maya la cui cultura e quindi le cui manifestazioni artistiche furono influenzate praticamente da tutto il mondo, Greci, Cinesi, Indiani dell'India e non del Sud Dakota, Romani e quant'altro, ovviamente Vargas è l'unico depositario al mondo di questa inoppugnabile teoria  che instancabilmente per qualche centinaio di pesos cede ai suoi turisti sfidando gli sciocchi pareri degli austeri quanto impreparati storici accreditati! Però è simpatico!
Alla sera ceno con Franco, entrando in Guatemala deve passare per la capitale a far riparare l'ammortizzatore posteriore, ma dopo le questioni tecniche durante la cena aumenta la confidenza e si passa a cose più personali, appunto, personali sono e personali restano, soprattutto le sue, quindi non insistete, non ve le racconto!
Per tutta la notte continua a piovere, al mattino una piccola tregua ma il cielo è grigio topo, partendo trovo la sua moto sulla strada, aspetto che arrivi e decidiamo di fare la strada insieme, dopo pochi km ricomincia a piovere forte e così sarà per tutto il giorno, di strada una veloce sosta per vedere una cascata poi si continua a salire verso le montagne, i fiumi sono in piena, ogni tanto la montagna frana sulla strada e dimezza la carreggiata, altre volte è la strada che scompare inghiottita dal ripido pendio che la affianca, scantonando buche, frane e rivoli d'acqua sulla strada, sempre sotto la pioggia battente, continuiamo ad arrampicarci fino a 2400 metri, il verde della giungla è punteggiato dall'argento delle lamiere che ricoprono le baracche dove vivono i contadini e i pastori. Salendo il paesaggio si trasforma e un sottobosco pulito coperto da larici ed abeti prende il posto dell'inestricabile groviglio della giungla. Arrivando a S.Cristobal de Las Casas ci dividiamo, una stretta di mano e una pacca sulla spalla, Franco prosegue verso sud e verso la frontiera con il Guatemala, della cittadina si parla bene, quindi si và a dare un'occhiata.

venerdì 28 ottobre 2011

Yucatan


autostoppista improbabile!

Chiapas
Alle tredici dunque, con la benedizione di Rafael, parto direzione Palenque, ci sono quasi 700 km per cui ci vorrà una tappa intermedia, non so bene dove ma punto a tagliare lo Yucatan verso nord ovest e raggiungere il Golfo del Messico, poi un letto da qualche parte lo si trova. Viaggio in mezzo alle campagne, la strada  è un corridoio di quattro metri in mezzo ad alberi alti seisette metri che si chiudono a volta sopra la testa, ai lati la vegetazione è talmente fitta che solo a tratti si intravedono disordinate coltivazioni di mais, di canna o di banane, per il resto un intrico di arbusti, cespugli e foglie sbarra completamente la vista sul paesaggio. Il traffico è quasi inesistente, supero oppure incrocio qualche camioncino che porta indistintamente caschi di banane e i campesinos che li hanno raccolti. Ogni ventitrenta km raggiungo e attraverso un villaggio addormentato in mezzo al nulla, a volte solo la strada principale con le quattro botteghe e un paio di case scalcinate che vi si affacciano a volte invece il villaggio è un pò più grande, qualche via laterale e una piazza con la chiesona barocca e il vecchio palazzetto padronale un pò casa signorile e un pò fortino. Il tutto molto trasandato ma tradisce un passato di gloria e di potere, un portone socchiuso lascia intravedere il grande giardino interno ancora curato e rigoglioso. L'atmosfera nelle campagne e nei villaggi è molto rilassata e tranquilla e lo stato d'animo di conseguenza si adatta. Ogni villaggio è motivo per chiedere conferma della strada visto che la segnaletica praticamente non esiste e le strade sono quasi viottoli di campagna, di tanto in tanto un check point dell'esercito o della polizia, i militari non mi guardano nemmeno e i poliziotti mi fermano solo quando hanno voglia di fare quattro chiacchere o sono curiosi di sapere chi cacchio è che se ne va in giro per quelle strade abituate a vedere solo biciclette e i camioncini delle fattorie . Tutto bene quindi, paesaggio, atmosfera, strada finchè all'ingresso di uno dei villaggi mi trovo il cialtrone in divisa che mi chiede soldi...arriva vicino...si guarda intorno per assicurarsi di non essere visto, alza la mano destra sul pancione e si strofina pollice e indice e guardandomi negli occhi "por la comida" che sarebbe per mangiare, sembra quasi imbarazzato e fa anche un pò pena ma sul momento ci rimani piuttosto male e non sai se la cosa diventerà un vizio anche in futuro e non sai nemmeno se i suoi colleghi sono d'accordo, di pagare non se ne parla nemmeno, non ho nessuna intenzione di invitare a cena tutto il corpo di polizia messicano per cui tengo duro, faccia sorpresa ma irremovibile e mentre cerco di inventarmi qualcosa da rispondergli sul senso di orgoglio messicano che stava solennemente sputtanando mi fa segno di andare. Uscendo dal villaggio incrocio un'altra pattuglia di poliziotti che mi fa segno di fermarmi, uno salta giù dal cassone e comincia a parlarmi di "sentido contrario" , a questo punto faccio finta di non capire, nel centro del villaggio c'erano in effetti un paio di strade chiuse e mi ero fatto indicare come venirne fuori ma di sensi unici  nemmeno l'ombra, e poi sti qua stavano arrivando da fuori per cui o inventavano o qualcuno li aveva avvertiti via radio, ad un certo punto mi chiede da dove vengo,... dall'Italia! si volta verso i colleghi...Italiano...si mettono a ridere e mi mollano.
Materialmente indenne ma sul momento non molto sereno, con i km che ho ancora da fare in Messico se questo è l'andazzo ci sarà da battagliare non poco. Mi affaccio finalmente, dopo 380 km, sul Golfo del Messico, a est Campeche ma io vado a ovest fino a Champoton scortato per gli ultimi km da Isaac, dalla sua Ducati Multistrada nuova di stecca e dalla fidanzata appollaiata sul sellino dietro.
Recupero un albergo, quattro chiacchere con Isaac e dopo una doccia chiedo all'hotel per un ristorante, sono le otto, mi guarda incuriosito, a quest'ora? tutto chiuso! come tutto chiuso alle otto di sera, ma a che cacchio di ora mangiate qui? Una soluzione è il ristorante Napoli, ma non vengo certo in Messico per andare in un ristorante italiano, seconda opzione non mi ricordo il nome, arrivo in taxi e il ristorante è messicano ma lo chef si chiama Antonio, è siciliano e gira da una vita a spignattare fra Stati Uniti e Messico, prima per i ristoranti vip di Armani poi per conto suo, adesso è momentaneamente parcheggiato a Champoton ma non credo per molto. Alla fine comunque non va a finire male perchè mangio bene e mi fa compagnia per tutta la cena. Ovviamente sta seguendo il blog e quindi lo saluto.
L'indomani via per Palenque, altro sito Maya da non perdere, a pochi km da Champoton mi trovo sul bordo della strada un coccodrillo...già, ho scritto proprio coccodrillo, mica orsetto lavatore..., da lontano  lo scambio per un copertone di camion poi passandoci a fianco  guardo meglio  ed è proprio lui, torno indietro perchè non capita proprio tutti i giorni di vederne uno poi gironzolandogli intorno vedo che ha una zampa un pò storta ed è un pò troppo immobile quindi probabilmente è stato investito ed è morto, da noi i porcospini, qui i coccodrilli, ognuno ha quel che si merita. Dopo il coccodrillo entro nello stato di Tabasco, quello della salsa, poi nel Chiapas, che non è una salsa ma è una zona montagnosa bellissima a sudovest del Messico, probabilmente la più povera e arretrata e fino a pochi anni fa roccaforte di un forte movimento separatista, il confine dello stato del Chiapas è segnato da un fiume che al momento è in piena, le campagne sono allagate per chilometri, siamo nella stagione delle piogge e sto cominciando e vederne le avvisaglie,ma siamo solo all'inizio!

volevo solo rassicurare pesaris...

...che è "tutto" a posto, non è che ho scelto io il bar, è il bar stavolta che mi ha scelto ma abbiamo saputo destreggiarci e uscirne assolutamente incolumi! Allegri ma incolumi.

mercoledì 19 ottobre 2011

ovviamente Chichen Itzà


per chi non ci credeva il canestro del campo di basket


Rafael the day after...