sabato 17 dicembre 2011

Visita dunque alle rovine, non siamo in molti, un paio di guide, quelli della sorveglianza, quelli dei souvenir, tre pappagalli che sorvegliano l'entrata, una specie di coniglio che scorrazza per i vialetti e un turista pagante, io. Poi durante la mattinata si aggiungeranno un paio di coppie ma l'incasso si chiude lì...bassa stagione!
Nel pomeriggio rientro al villaggio, fuori dalla chiesa nella piazza centrale un bel gruppo aspetta fuori dalla chiesa, poco dopo parte un corteo con la bara sul cassone del pick up, a seguire la banda con le trombe e le chitarre e buona parte del villaggio. Molto coreografico ma non molto allegro, un paio di notti fa un paio di ventenni grazie a qualche birra di troppo hanno litigato e si sono sparati, ieri avevano seppellito l'altro. Oltre che ai coltellacci già dal Guatemala bisogna abituarsi anche ai fucili a pompa che qui imbracciano come se portassero il cane a spasso. I negozi un pò più grandicelli e gli uffici ne hanno uno sulla porta, le banche tre di cui uno anche con il metal detector che ti scannerizza prima di farti entrare anche se sei in costume da bagno, i negozi che non se lo possono permettere, se sono magari un pò fuori mano, cioè tutti quelli che non sono intorno alla piazza centrale, hanno le inferriate che separano il banco di vendita dalla zona pubblica, ma siamo in una zona poco sicura? ...nono...ma non si sa mai, meglio prevenire, ti rispondono sorridendo. Sarà...! La prossima tappa è Roatan, che non c'entra niente con i Maya o altro ma è un isola paradiso dei caraibi, che nella stagione delle piogge dice poco, ma a Roatan ci vive Ruggero, antico compagno di una scorribanda motociclistica postsovietica, scorribanda che evidentemente ha lasciato il segno visto che, finito il viaggio in Russia, ha comprato un catamarano, lo ha spedito in Nicaragua e ci si è trasferito. Non riuscendo, come si dice, a sbarcarci il lunario si è autoimbarcato lui sul catamarano, ha fatto rotta a sud, poi è riuscito ad infilarsi nel canale di Panama ed a sbucare nel mar dei Caraibi, ha fatto rotta verso nord e, senza troppi danni ha sbattuto contro l'isola dove finalmente, nonostante un pò di nostalgia di tagli, taglietti ed osterie, tira avanti la carretta, per non dire la barchetta, spennando i turisti di passaggio. Ovviamente non si può passare per il Centroamerica senza un saluto quindi faccio rotta verso La Ceiba a caccia di un traghetto per l'isola. I primi cento km per scendere dalle montagne , il tempo è sempre incerto con qualche sprazzo di cielo che potrebbe far ben sperare, taglio fuori S. Pedro Sula, seconda città dell' Honduras per importanza e, si dice, terza città  più pericolosa al mondo, mi becco un paio di aquazzoni e prima di arrivare a La Ceiba passo attraverso una spianata di coltivazioni di ananas. Per chilometri, a perdita d'occhio, ci sono file di piante alte circa un metro perfettamente allineate e intervallate dai vialetti di servizio, la strada è un nastro di asfalto in mezzo ad un mare verde leggermente ondulato che ti sembra di navigarci in mezzo con la moto. Sotto il solito aquazzone delle quattro arrivo al molo, il mare è mosso e la capitaneria non dà l'ok per la partenza, forse domani. La Ceiba non è S. Pedro ma la prospettiva di passarci la notte non è esaltante però non ci sono alternative, vado a caccia di un albergo e mentre ne sto studiando uno da fuori conosco Robert, anzi più che altro mi conosce lui visto che mi arriva vicino e comincia a parlarmi, sono stanco quindi nervoso e decisamente deluso quindi ancora più nervoso e questo qui che mi arriva da dietro e comincia a parlarmi  in inglese e a dirmi quello che devo fare mi fa girare un pò le balle, comincio a chiedergli chièechinonèecosacifàlì poi pian piano mi rilasso e comincio ad ascoltarlo. Questo albergo non è male, fino a lì la strada è tranquilla ma non andare oltre, l'altro anche va bene ma la zona è peggiore ecc. Faccio un giro finchè ne scelgo uno con un buon parcheggio, durante la doccia mi telefona Robert dalla reception per andare a bere una birra, ok, siamo lui, io e una sua specie di fidanzata locale. Fra una birra e un pesce e un altra birra e probabilmente una terza birra io gli racconto del mio viaggio e lui mi racconta la sua vita che però io vi racconto un'altra volta, vi anticipo solo che c'è di mezzo una barca a vela di legno disegnata nel 1940 dallo studio Sparkman e Stephens e costruita da Herreshoff che ai suoi tempi con altre barche ha vinto qualche Coppa America, insomma come avere per le mani una Ferrari d'epoca.
Comunque il mare la mattina dopo si calma un pò e il ferry parte, portare la moto costa una cifra e non ne vale la pena per cui la mollo nel parcheggio del porto, all'aperto ma almeno sotto buona custodia armata. Mi fermo tre giorni sull'isola ma il tempo è vergognosamente brutto, per tutto il we quasi non smette di piovere, per fare rustico e per fare Caraibi le strade che di solito sono di sabbia con i buchi e di terra con i buchi adesso sono di sabbia con le pozzanghere e di fango con le pozzanghere ma sono in viaggio da quasi tre mesi e tre giorni di pastasciutte e pizze insieme ad una faccia amica ti fanno sentire un pò a casa e dimenticare il brutto tempo. Le previsioni minacciano un uragano, e ci mancava solo quello..., per cui lascio l'isola prima di rimanerci bloccato, sono rimasto in contatto con Robert e quando la mattina del lunedì sbarco dal traghetto rimonto in moto e lo raggiungo al cantiere, ma questa è la prossima puntata!

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