lunedì 21 gennaio 2013
La mattina successiva le cose vanno piuttosto a rilento,
Pablo deve cambiare l’olio alla moto e possibilmente anche la gomma posteriore
che è ormai a pezzi, Lucho ha un paio di commissioni sconosciute poi deve
sistemare la catena che quasi striscia per terra, io vado a fare due passi
verso il centro a caccia di una farmacia che spacci una qualche miracolosa
pomata australe che riesca a farmi passare le afte, mangiare e bere sono la
solita tortura e viaggio con un bottiglione di collutorio in tasca per tentare
di rinfrescare la bocca e cercare di alleviare il fastidio. Lucho mi ha passato
una crema che si porta dietro e che secondo lui è l’unica che ti fa passare
tutto calvizie compresa ma non sono molto convinto, la farmacista scandalizzata
mi comunica che trattasi di pomata per uso esterno e serve per far passare le
piaghe ai lattanti ma con le afte non ci azzecca proprio quindi me ne rifila
un’altra e a spanne credo sia la quarta che provo. Con le afte purtroppo non
finiscono gli acciacchi, cominciano a vedersi dei piccoli sfoghi sotto i
polpastrelli delle dita grandi come capocchie di spillo, l’effetto, poco
entusiasmante, è che ogni volta tocchi qualcosa ho la sensazione di appoggiarmi
ad un porcospino, la spalla destra, l’unica parte del corpo che non riesco a
sgranchire mentre guido, è anestetizzata da settimane inoltre da qualche giorno
mi si è scaricata addosso una certa spossatezza generale, insomma…quasi quel
che si dice “ uno straccio d’uomo”, ci vorrebbe decisamente qualche giorno di
riposo ma si sta cominciando a sentire il profumo della fine del mondo e non è
il momento di stare lì a cincischiare. A fine mattinata ci ritroviamo tutti
all’ostello, i programmi cambiano come le nuvole nel cielo della terra che ci
ospita. Pablo ha pochi giorni per fare qualche migliaio di km e arrivare a
Brasilia prima che finiscano le sue ferie e ha anche un paio di indirizzi che ha
estorto a qualche fanciulla conosciuta sulla strada con la promessa di un
appuntamento volante ma il gruppo ormai è lanciato e se gli amici vanno ad
Ushuaia si va a Ushuaia con gli amici. Lucho vorrebbe fare tutta una tirata
sulla via più breve rimanendo in Argentina fino a Rio Gallego, passare in Cile,
traghettare sullo Stretto di Magellano, attraversare
la Terra del Fuoco e arrivare ad Ushuaia, io preferirei tornare verso ovest,
rientrare prima in Cile, arrivare di nuovo sul Pacifico e scendere più lentamente,
ma prima di decidere aspetto le mosse degli altri. Pablo ha cambiato l’olio ma
la gomma è introvabile, forse a Rio Gallego, Lucho ha sistemato la catena e
quindi può scattare l’escursione pomeridiana al Ghiacciaio Perito Moreno.
Arriviamo all’entrata del Parco Nazionale Los Glaciares e scopriamo che i
prezzi degli ingressi sono differenziati, gli argentini pagano una cifra quasi
simbolica, Pablo che essendo brasiliano fa parte del Mercosur, una specie di
comunità economica sudamericana, poco di più mentre io che arrivo da
oltreoceano e mi sono sbobbato qualche decina di migliaia di km pago il triplo
di Lucho. La polemica con il guardiano è inevitabile e la sua convinzione nel
sostenere le inesistenti ragioni della cosa la rendono anche piuttosto ruvida
ma altrettanto inutile, lo spettacolo del ghiacciaio in compenso è maestoso, un
promontorio di terra che lo fronteggia diventa un osservatorio naturale
privilegiato di un fiume di ghiaccio che per decine di km, praticamente tutti a
vista, scende sinuoso dalle cime delle Ande e con un fronte alto un centinaio
di metri e largo cinque km finisce la sua storia millenaria gettandosi nelle
torbide acque del Lago Argentino. Passa il pomeriggio e la serata si chiude
all’ostello con Lucho che prepara per tutti un piatto di tortelloni con un sugo
al pomodoro mescolato ad una non ben identificata “crema”. Il colore è fuori
gamma e improbabile al tempo stesso, il gusto assolutamente sconosciuto ma la
fame li rende commestibili. I programmi si vanno delineando, Pablo, con grande
rammarico deve rinunciare ad Ushuaia per correre a casa a risolvere qualche
problema con un paio di ex mogli, pare che in particolare la prima, che guarda
caso è risposata con un avvocato, stia accampando serie richieste di alimenti
che Pablo preferirebbe invece investire in una nuova moto. Lucho insiste sulla
via breve e veloce e decide di partire la mattina presto mentre io decido di
lasciarlo andare da solo per ritrovarsi probabilmente a Ushuaia. Dormiamo tutti
nella stessa camerata, al mattino, quando mi alzo, Lucho si sta ancora
rivoltando nel letto, la voce è più simile al rantolo di un moribondo che a quella
di un motociclista che dovrebbe fare un migliaio di km ma riesce a spiegarmi
che nella notte ha deciso di fermarsi ancora un giorno, io faccio colazione,
trovo Pablo che al solito sta importunando una delle cameriere e ci salutiamo
come conviene, dopo due giorni di compagnia sono di nuovo solo, un po’ di
nostalgia ma va bene così, ritrovo i miei ritmi, i miei programmi, i miei pensieri.
In pochi km ritrovo ancora la pampa ma la strada sale impercettibilmente e
comincia qualche timida curva che la infila in qualche fondovalle, le Ande si
stanno abbassando prima di andare a tuffarsi nell’Oceano Pacifico e diventare
quella corona di isole che finiscono con Cabo de Hornos, il micidiale
spartiacque che segna il confine fra l’Atlantico dal Pacifico. Attraverso El
Turbio, quattro baracche che vivono in funzione di una immensa miniera di
carbone e di una centrale termoelettrica. Raggiungo il confine e in meno di
mezzora sbrigo le pratiche e rientro in Cile, scollino e mi riaffaccio sul
Pacifico, Puerto Natales, case basse di legno e lamiera dai cento colori sono srotolate
sulla sponda di una lunga baia protetta da un’isola che sembra una montagna.
Sullo sfondo i ghiacciai di altre isole spiccano sul blu cupo del mare,
ghiaccio e mare, un’accoppiata piuttosto insolita…e siamo in piena estate!
Altri 350 km comunque sono nello zaino, la fine del mondo è vicina ma non lo
dicono i Maya, lo dice la cartina che ho davanti agli occhi!
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