giovedì 22 marzo 2012

il sito dei sepolcri

la tomba de "l'allegra compagnia"

Chan Chan un particolare

Chan Chan interno di un tempio

da destra: la macchina di clara, i due belgi, clara, un amico di clara che passava...

domenica 18 marzo 2012

Verso il Perù

Non fosse per le targhe delle poche macchine che si incrociano, il verde dei prati e l’ordine dei campi che accompagnano i primi 70 km di strada che da Cuenca vanno verso il confine peruviano potrebbero farti credere di essere in Svizzera ma alla fine della salita si cambia valle e da un momento all’altro il paesaggio diventa lunare, arido e desertico, non ci sono più colori e quasi tutto è grigio, le montagne sembrano sgretolarsi per scivolare a valle in fiumi di sabbia, la vegetazione sparisce quasi completamente, rimangono pochi ciuffi d’erba in mezzo alle pietre, qualche cactus e pochi arbusti scheletrici e rinsecchiti  abbarbicati alle pietraie, da una valle all’altra il paesaggio non cambia più fino a quando arrivando al livello del mare la strada entra in una distesa infinita di alberi di banane che va avanti per decine e decine di km. Un’altra volta ancora per uscire dal paese bisogna improvvisare, gli uffici doganali dell’Ecuador sono in una grande palazzina a lato della strada e li riconosco dai pullman parcheggiati nel piazzale e dalle code fuori dagli uffici, fatte le code e consegnati i documenti per arrivare e passare il confine vero e proprio invece bisogna proseguire per qualche km, entrare in un piccola cittadina, infilarsi nel mercato che sta occupando la strada principale, proseguire  fino a quando è possibile dopodiché bisogna prendere una specie di deviazione che ovviamente non è segnalata ma si va a naso seguendo quello che sembra il flusso principale, si chiede un paio di volte fino a quando si arriva alla fine del mercato, si riprende la strada principale, si attraversa il fiume, per fortuna c’è un ponte ma non sempre si è così fortunati, e si arriva al confine con il Perù. A questo punto ricomincia la solfa degli uffici di immigrazione, della dogana per il permesso per la moto in più stavolta l’assicurazione è obbligatoria per cui al tutto si aggiunge una discussione con l’impiegata del banchetto che vuole farmi pagare 35 dollari contro gli 8 che paga una vettura. Naturalmente vince lei e caccio i 35 prima di tuffarmi nel deserto peruviano. La strada corre lungo una fascia pianeggiante larga qualche km che sta fra la Cordigliera e l’Oceano Pacifico, ogni tanto un basso ponte scavalca uno dei tanti fiumi, ormai di sola sabbia e argilla secca, che scendono dalla montagna. Per un centinaio di km viaggio fra le mille sfumature di rosso e di arancione di un terreno argilloso arido e screpolato. L’impatto con il Perù purtroppo non è dei più suggestivi,  l’impressione è di  viaggiare in una discarica, il nastro di asfalto corre in mezzo a mucchi di rifiuti e di bottiglie di plastica e l’odore dolciastro della decomposizione si mescola a quello forte e penetrante del mare. Arrivo a Mancora, una delle spiagge più gettonate dagli amanti del surf, eccetto quello che dovrebbe essere un breve lungomare tutto il villaggio si srotola per un paio di km lungo la Panamericana, ristoranti, bar, botteghe artigianali e tutto il resto fanno da quinta al traffico infernale dei camion e delle macchine che si mescolano a decine di motocarrozzette che come formiche frenetiche continuano a percorrere la strada principale a caccia di clienti suonando il clacson nel poco discreto tentativo di richiamare l’attenzione. La mattina dopo riprendo la strada e il paesaggio non cambia, ancora deserto, ancora sabbia. Ogni tanto poche case oppure un piccolo villaggio, la fascia fra le montagne e il mare si restringe  e si riallarga fino anche a parecchie decine di km, di tanto in tanto la strada serpeggia e sale per superare un gruppo di dune o qualche bassa collina di pietra. Il pomeriggio dal Pacifico arriva il vento, freddo e violento, la moto taglia le scie di sabbia che spinte dalle raffiche attraversano perpendicolarmente la strada. Il paesaggio è quasi “glaciale” tanto è spoglio, pochi arbusti secchi corrono  rasoterra e qualche “albero bandiera” non lascia dubbi sulla presenza e sull’abitudinaria direzione del vento. Di tanto in tanto, ingabbiate da chilometriche recinzioni, dalla sabbia emergono piantagioni di canna, di uva, di frutta o di riso, ma a lato della strada le file di piante sono talmente regolari e noiose che sembrano artificiali. Arrivando al piccolo villaggio di Lambayeque incontro il museo “ Tomba del Signore di Sipan” dove il Perù con giusto orgoglio in una splendida cornice espone l’ultima sua grande scoperta archeologica. Non più tardi di 25 anni f nei paraggi è stata portata alla luce una piccola necropoli eccezionalmente intatta, ovvero non saccheggiata da quella squallida categoria di distruttori di storia che sono i tombaroli, i quali non sono esclusiva del mondo occidentale ma che, seguendo l’esempio dei “conquistadores “ arrivati nella scia di Colombo,  hanno così pesantemente imperversato anche oltre oceano. Il personaggio evidentemente era discretamente sistemato nella gerarchia sociale dell’epoca e dipartendo non ha voluto lasciare nulla al caso, per la verità non ha voluto lasciare nulla nemmeno a casa considerato tutto quello che si è portato appresso per l’ultimo viaggio. Va da sé che la gioielleria buona non si lascia indietro che non si sa mai in che mani può andare a finire per cui eccolo ricoperto di collane, collari, bracciali, maschere, svariate paia di orecchini e il tutto naturalmente in oro o argento.  Metti anche che il viaggio si fa lungo e non si sa dove si va a parare per cui non si parte senza adeguata scorta di cibi e bevande, centinaia di ciotole e di ampolle di terracotta ordinatamente posizionate intorno  al feretro. Come detto il viaggio magari è lungo e se ci stanno dei tempi morti un paio di mogli possono tornare utili, quando quelle cominciano ad annoiare il cane , poi un lama per un po’ di carne fresca che non guasta mai, un servitore perché è evidente che non posso occuparmi io di tutto quando siamo in viaggio, il portastendardo perché si sa che senza stendardo non vado nemmeno al bagno e perché quel ragazzetto, che dovrebbe essere mio figlio, non soffra troppo da solo a casa ci portiamo dietro anche lui. Questa l’allegra, si fa per dire, comitiva ritrovata nella tomba del “Signore”.